Il fascino maggiore del cristianesimo risiede nel rapporto che ha con il corpo.
Corpo umano, corpo di Cristo, corpo del mondo detto anche natura.
Ravasi ci ricorda in un’intervista al Corriere che, se dal pensiero greco abbiamo mutuato il concetto di anima immortale, è bensì dal giudaismo che ereditiamo la nozione di resurrezione dei corpi nel mondo a venire (l’anno prossimo a Gerusalemme!):
Lei da biblista come immagina l’aldilà?
«L’immortalità dell’anima nella Bibbia quasi non c’è. C’è la ri-creazione dell’essere intero: la visione di Ezechiele».
Gli scheletri che tornano in vita.
«Nel Cristianesimo la risurrezione della carne è centrale. Io non ho un corpo; io sono un corpo».
Non è un caso nemmeno che io abbia usato il termine “mutuare” nei confronti della cultura greca, e invece “ereditare” nei confronti del giudaismo: è solo del secondo che siamo veri figli. A differenza dei greci, gli ebrei appartengono alla nostra stessa storia, come noi apparteniamo alla loro; ed è del resto proprio attraverso la parola storia – o meglio, al plurale, storie [toledoth], una faccenda di popolo dunque e non individuale – che si traduce l’idea di tradizione.
Eppure, a dispetto della carnalità che mi viene spontaneo attribuirgli, per gli ebrei il corpo, pur creazione divina, resta forse più un oggetto che un soggetto; una qualità della persona quasi (come ogni altra cosa, pura o impura) e non un elemento di per sé fondante, ed intrinsecamente buono.
Se un mollusco o il mestruo possono determinare la mia impurità, se la legge prevale sull’amore, quale tipo di rapporto posso instaurare con il mio Dio? Un’unione intellettualmente intima certo, ma quanto personale?
E’ un Signore sublime ma distante, quello che si lascia adorare ma non toccare (guai a sfiorare le lettere della Torah!); quello che è presente in spirito in luoghi determinati e non estensivamente, cattolicamente, ovunque due o tre sono riuniti nel Suo nome; un Dio dell’astrazione (la “malattia ebraica” che tutto rovina, cit.) ch’è l’antitesi del corpo.
Tesi – antitesi, antitesi, antitesi… e così via, per sottrazione, come Maimonide ammoniva: Dio è pensabile solo a partire da ciò che non è. Ma cosa rimane, se qualcosa poi davvero rimane? L’ain sof, il nulla senza fine.
Forse HaShem, stanco di tanto nulla, s’è fatto carne per sfuggire a tale orrido, vuoto destino. Forse, dopotutto, la Shoah non ne è la negazione ma la controprova.