Materno

Il linguaggio eptapode, in quanto circolare, è materno.
Il tunnel dell’astronave attraverso il quale avviene il contatto tra umani e alieni è, palesemente, un utero: intimo, accogliente (posso capire che il regista ed il direttore della fotografia stessi usino per esso aggettivi ben diversi, come “ignoto” e “minaccioso”, nonostante dimostrino di comprendere il film che hanno prodotto: sono, in ogni caso, uomini).
Le (uniche, due) protagoniste sono una madre ed una figlia.
In Arrival (qui una pagina per chi fosse interessato ad una classica, bella recensione), seconda lama a spaccarmi il cuore in questa seconda fase di lutto,  ci siamo io e mia madre. Io e mia madre che facciamo naso-naso. Io e mia madre che non sappiamo comunicare, ma lo facciamo ugualmente, in modi che crediamo di saper maneggiare e invece no. Ci siamo noi dentro ed oltre il tempo, non prive di traumi, ma sazie di cure.
C’è la nostra malattia (molto) rara, come (molto) rara è quella di Hannah.

Non ho il potere di conoscere il futuro per immagini.
Ma conosco la sola cosa che importa, la risposta: se vedessi, se sapessi in anticipo, accetteresti la tua vita così com’è?
Faresti nascere un figlio che sai malato, inguaribile, della cui storia conosci l’esito?
Oppure:
Accetteresti tua madre così com’è – guasta, diversa, distante, aliena?
Sì.
A questa domanda esistenziale, che Arrival suscita e rappresenta con incredibile lucidità e una travolgente capacità di dire l’umano meritevole di un capitolo a sé, conosco la risposta perché da sempre me la pongo – e infine, morto mio padre, desiderato mille volte che la sua sorte fosse toccata invece a mia madre, lei sbagliatache sbagliata mi ha formata nel seno, ho visto che non poteva essere altrimenti.
“Beato chi, pur non avendo visto, crederà”: io, però, ho visto.
E’ una delle fondamentali della questione aborto; che spazza via morale, paura, calcolo, buonsenso, statistica, desiderio ed ogni altra cosa.
Se hai visto, se hai percepito, se sei entrato in contatto col feto, comunque tu lo consideri a livello intellettuale e qualunque sia la tua posizione nel dibattito pubblico, tu conosci.
Immaginare un bivio, una scelta, un’opzione binaria (vita / morte; padre / madre; accogliere / disconoscere) non è come averla toccata. Vissuta. Esserne stati trasformati.
Io conosco, e non posso più rifiutare per ambire ad essere altro, ad aver avuto altro: posso elaborare, soffrire, produrre fantasmi in universi collaterali al mio che, tuttavia, sono già il mio universo; e dunque nulla è nuovo, nulla fuori dal cerchio.
Forse, dopotutto, Louise non ha affatto scelto. Louise ha “aderito” al proprio guscio, alla propria storia; e pur conservando la libertà non disponeva di opzioni differenti se non: 1 o 0, essere o nulla.
Ciao, Mamma. Ti voglio bene.
[due colpi a pugno chiuso sul cuore, due sulla guancia].

 

13 pensieri riguardo “Materno

  1. Una non-recensione che è un atto di dolore, un coltello con cui hai squarciato la tela su cui si proiettava il film di Villeneuve, con una consapevolezza, la tua, che è ontologica ed esistenziale e per questo simmetrica e simile a quella temporale degli eptapodi: hai in qualche strano modo (che ha più della lirica e dell’empatia che non della logica piana della prosa) non-parlato del film, dei suoi magnifici piani-sequenza, delle riprese ad altezza caviglie come in un film di Malick, della recitazione altissima di tutti i personaggi e ne hai non-parlato nell’unico modo ancora davvero accettabile per un capolavoro su cui è già stato detto tutto ovvero scandagliando come un palombaro dell’animo tutte gli strappi lancinanti di chi il dolore non lo narra ma lo vive, ogni sacro santo stramaledettissima fottuto giorno.

    Arrival è un film polilingua, a cui si arriva da tante strade, tutte lecite, comprese quelle semplici in discesa dell’ovvio e che moralmente si pone quasi in opposizione al delirio di onnipotenza di ogni scelta possibile narrata invece in Mr. Nobody, la criptica pellicola (in realtà solo per chi chiude gli occhi) di Jaco Van Dormael, la cui visione è sempre imprescindibile anche contestandolo.

    Sei straordinaria ed inaspettata, Cely.

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    1. Per adesso, non so dir altro che Grazie.
      Tutte le meraviglie “tecniche”, in senso lato, di mestiere ed eccellenza che Arrival offre mi hanno sovraeccitato dal primo minuto; anche se poi mi sono rimaste sulla lingua e non si sono tradotte in un post tradizionale.
      Avevo bisogno di strappar fuori quest’altra cosa, invece; certo meglio comprensibile a chi mi conosce e/o ha visto il film.
      Fa uno strano effetto rileggerla, per altro, perché per come è costruita (e in realtà non lo è per niente) appare appunto studiata, mentre in realtà è uno di quei rari post che ho scritto a cervello spento, senza ragionarci.
      A prescindere da tutto, mi fa piacere aver spartito questo frammento di storia personale con te.

      Prendo nota di Van Dormael.

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      1. Sai una cosa, Cely? Il tempo speso con te non è mai tempo perso, anche quando parli di cose che non sono nella mia specifica sfera di interesse o che addirittura contraddico, perché il vero valore di ciò che si legge o si ascolta non è quello che si accomoda in una comfort zone dove ogni cosa ci conferma ciò in cui già crediamo (fede, idee, logica, cultura, cibo, altro), ma è quello che viene scritto o detto da persone che, in un mondo che da tempo si è svenduto all’ovvio ed ha pianificato la propria entropia morale e culturale, riescono ancora ad emozionarci, come fai tu

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    2. (Mr. Nobody così su due piedi non lo trovo.
      Intanto però, a naso, ho messo in lista L’ottavo giorno.
      Di Dio esiste ecc. cosa mi puoi dire? Nel dubbio che possa irritarmi, per ora ho evitato di vederlo – del resto il mondo è favolosamente pieno di cose belle, e questa non sarebbe comunque tra le mie priorità. Anche se il sarcasmo francofono lo apprezzo…).

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      1. Però, ti sei data al recupero profondo del nostro belga!

        Sarò molto sincero con te, Cely: Jaco Van Dormael è un autore molto stimato in Europa, che fa film con un lasso di tempo molto ampio, almeno quattro o cinque anni di intervallo tra l’uno e l’altro, a volte anche molti di più, ma sono tutti film molto personali (il che gli fa onore), con una visione della religione che sembra tuttavia la parodia di un bestemmiatore colto ovvero di qualcuno che finge di non credere e che si diverte a prendere in giro Dio, ma guardandosi alle spalle con la coda dell’occhio per paura di una ripercussione (non un grande eroe, dunque!), perché si sa che se sei davvero ateo non ha senso l’essere blasfemo…

        Sta di fatto che dei suoi ad oggi 4 lungometraggi l’unico che mi è davvero piaciuto (cinematograficamente sopraffino ed assolutamente stimolante dal punto di vista quantistico) è anche il più odiato dal pubblico, quello cha ha ricevuto più critiche ovvero Mr. Nobody (ma penso soprattutto perché gli intellettuali tradizionalisti non capiscono ciò che non riescono a tradurre in un conflitto sociale o economico), mentre gli altri titoli osannati lo ho trovati per lo più sopravvalutati, in particolare la sua commedia grottesca Dio esiste e vive a Bruxelles, film amato praticamente da tutti (non da me) perché ironizza sulla sacra famiglia (la parte più debole invece è proprio quella didascalica) , quando invece il delirio è la sua cosa più bella (Dio che usa un PC per decidere cosa creare)… E poi molto bella anche la parte di donna di casa sciatta della moglie di Dio, con una sontuosa Yolande Moreau e la sorella di Gesù (mi sento cretino solo a scriverlo, ma omnia munda mundis, perciò…) ovvero la convincente Pili Groyne…

        In ogni caso sono visioni interessanti, non scontate ed alle quali va riconosciuto molto lavoro preparatorio…

        Sarà affascinante chiacchierarne a piccole dosi!

        Buona serata!

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        1. Sì, mi hai incuriosita 😉
          Ma prometto che se ne parlerò, nel bene o nel male, sarà appunto “a piccole dosi” 😀
          Ho dato giusto una sbirciata, ma dalla scheda di Mr. nobody su MyMovies e da questa intervista su Quinlan [ https://quinlan.it/2016/06/26/intervista-jaco-van-dormael/ ] ho avuto conferma, come tu scrivi, che la sua cifra personale non è la polemica ma l’assurdo, e più precisamente, l’osservazione indagatrice e mai neutra di come la vita può svilupparsi, diramarsi e trasformarsi.
          Il che, sulla carta, è estremamente interessante.

          Mi ha fatto sorridere quel tuo dal punto di vista quantistico!
          E in effetti la quantistica potrebbe aiutare a comprendere e riflettere su strutture così imprevedibili – anche se, apparentemente, predeterminate.
          E poi, questo: perché gli intellettuali tradizionalisti non capiscono ciò che non riescono a tradurre in un conflitto sociale o economico. Una critica che sicuramente centra una delle tendenze attuali.
          Ora non so quanto ti troverai d’accordo con me: ho letto diversi elogi a La classe di Laurent Cantet, che a me francamente ha fatto abbastanza schifo. Forse è un capolavoro proprio per questo, ma nel suo osservare una realtà problematica senza introdurre alcun accenno di interpretazione, di soluzione, di semplice elaborazione del narrato per arrivare almeno ad un punto di vista, seppur lasciato in penombra, su una storia smaccatamente intrisa di politica e di relazioni sociali, ecco in questa sorta di neutralità artificiale io l’ho percepito soltanto inumano.
          Bene, un film certamente non dev’essere per forza schierato, diventare un manifesto o comunque indirizzare lo spettatore in modo spinto. Non vogliamo questo. Anzi, le migliori cose lasciano che il pensiero si sviluppi senza briglie strette. Però, in fin dei conti, cosa lascia Cantet dopo la visione, a parte la nausea?

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        2. Non sono un buon maestro di vita, ma sono sempre riuscito a camuffarmi da insegnate pontificante… In ogni caso non uso mai lo stesso metro di giudizio quando mi avvicino all’arte (e per caduta all’industria culturale dell’intrattenimento) di quando invece mi avvicino alla filosofia, alla storia e alla sociologia (disciplina questa che mi ha sempre procurato una sorta di orticaria intellettuale, sin da quando ero studente del Liceo!) e questo perché la mia formazione culturale (Liceo Classico a Jesi, nella provincia marchigiana e Facoltà di Lettere a Bologna) ha corso una strada parallela, con qualche incidente, a quella della mia vita, sconquassata da lutti che il senso comune (giustizia universale? Qualsiasi cosa ciò significhi?), avrebbe voluto meglio distribuiti e che invece nel mio caso si sono accumulati in troppo poco tempo ed in troppo giovane età (certe volte mi sono sentito rapito da un nauseante senso di protagonismo impietoso, immedesimandomi in personaggi annichiliti dal senso della morte come quelli dello splendido Hereditary di Ari Aster).

          Perché ti dico questo?

          Primo, perché tu sei tu, Cely ed ho capito che sai vedere aldilà delle vestigia, secondo perché non ho paura di volare ma di certo temo di essere frainteso, soprattutto quando nelle dialettiche affronto temi che sembrano ossimori e che contengono, dentro la loro stessa freccia semantica, il seme della contraddittorietà…

          Secondo, perché a questo si aggiungono: una mia personale idiosincrasia per l’ipocrisia intellettuale (leggasi come lotta tra un vero anelito di giustizia ed un libertarismo d’occasione); un senso di ripugnanza e disgusto verso ogni forma di abuso (economico, sessuale e fisico); un profondo disgusto per la retorica diabolica con cui si tende spesso a far passare il carnefice per vittima e viceversa; una fede coltivata da bambino, poi persa da adolescente (dietro le sferzate di un fato che ho vissuto come iniquo), poi ritrovata ma senza più alcun aspetto ecclesiale; una mia passione per le fiabe senza morale (non immorali, perché nocive e nemmeno amorali, perché la ricercata abolizione della morale è essa stessa una presa di posizione ricercata, così come negli sperimentalismi di John Cage il silenzio non era assenza di suono, ma assenza di musica composta, mentre il suono c’era eccome, ma era quello delle sedie spostate, dei colpi di tosse. dei borbottii…); infine, un amore viscerale per l’arte che non sia didascalica ed enunciativa, a meno che non sia essa stessa una sola grossa enunciazione, anche furba, come l’Urlo di Ginsberg, come un atto o un gesto significante, come la Roue de bicyclette di Duchamp o i graffiti di Banksi fatti per non resistere e che con il loro essere delle prese in giro dicono sull’arte figurativa contemporanea molto più di tanti critici pagati per riempire le note a margine dei cataloghi dei battitori d’asta (illuminante, in questo senso, una fiction altrimenti molto mainstream ma anche rigorosa ed elegante nella sua messa in scena, quale fu la Prima Stagione di Riviera con una matura Julia Stiles , diretta dal veterano irlandese Neil Jordan) oppure un viaggio visionario senza tappeto sotto i piedi e senza scorrimano come quello di David Lynch (uomo che rifiuta le etichette, che non vuole mai dare spiegazioni per non influenzare il vissutoi individuale dello spettatore e che di fatto se ne frega proprio dell’assertività commerciale di chi vende).

          Da tutto questo, si ottiene quel cocktail un po’ indigesto che oggi sono io, un uomo che rifiuta di essere solo un tubo digerente deambulante, che sa come il suffragio universale abbia dato il potere al popolo che sceglierà sempre Barabba al posto del Cristo e che sa come il web abbia dato voce a chi altrimenti non meriterebbe nemmeno di essere ascoltato, ma anche un uomo che sa che alla democrazia non c’è vera alternativa, così come alla libertà dal web senza censure.

          Quindi, no, il film di Laurent Cantet tanto acclamato dieci anni fa a Cannes non lo vidi (è quasi del tutto lontano dalle mie corde) e non penso nemmeno che lo vedrò, giacché, rubando le parole ad una bella pensatrice «il mondo è favolosamente pieno di cose belle, e questa non sarebbe comunque tra le mie priorità.»

          Stima e rispetto, Cely, stima e rispetto (sto anche facendo per ridondanza il saluto vulcaniano che faceva lo Spock della serie televisiva classica).

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        3. Insegnante pontificante e maestro di vita, uhm. Sì, la maschera da insegnante te l’ho sempre vista da che ti seguo (da prima di questo blog), ma è una di quelle mascherine carnevalesche, scherzose, che coprono soltanto la fascia centrale del viso lasciando comunque scoperti gli occhi: e dagli occhi emerge altro.
          Non che sappia definirlo, questo altro, né tantomeno pretendo di conoscerti attraverso questi scambi ricchi, sì, ma parzialissimi.
          Del maestro meglio non dire per ora. Lo sei nel modo in cui molti, in genere senza intenzione né avvertenza, lo sono; il che non è un di meno ma un di più. Comunque, conta che “maestro” non è un concetto né una persona che io senta distante e severo, e questo a dispetto del mio essere un filino reazionaria.

          Mi stai bene al di là delle cornici in cui, necessariamente, ti devo di volta in volta inquadrare.
          Che poi possa non capirti, è qualcosa su cui posso intervenire poco, ma mi basta il fatto che dipende da mie limitazioni e non da cattivo impegno.
          Di rado incontro persone molto più complesse (non complicate…) ed articolate di me, dunque il pensiero di “non essere all’altezza” (prendi l’espressione com’è, per intenderci, non come indizio di un senso d’inferiorità) esiste, me ne dispiaccio, ma del resto non oltre quanto riuscirebbe ad un “ignorante sapiente” che si rende conto che qualcosa gli sfugge, ma non sa individuare precisamente cosa.

          E allora, per tagliar corto, lasciami bere e non curarti troppo del se e del come verrai assimilato.
          Ho una discreta intelligenza e un briciolo di cuore (stima, rispetto e saluto vulcaniano? Sei un mostro, se senti un improvviso bang è il mio Ego che s’è gonfiato troppo ed è esploso), ma come ogni altra creatura a questo mondo – purtroppo – non sono la risposta a nessuno dei desideri o bisogni di alcun’altra creatura.
          E nella mia personale versione di “cocktail indigesto” ho pur sempre provato, inconsciamente ed incoscientemente, ad assumere il ruolo della vestale, ma m’è andato di traverso.

          Insomma, vita e persone son faccende che non si può pretendere di far funzionare, solo le si può maneggiare con buona disposizione d’animo ed un pizzico di cautela, e stare al gioco di ciò che ne vien fuori.
          Ciao, tu (cit.).

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