Un uomo perde il lavoro, e non riuscendo a “riciclarsi” o forse non volendo, finisce per costruire un’elaborata menzogna: un nuovo incarico presso l’Onu a Ginevra, entrate fisse e sostanziose, benefit che gli consentono, fra l’altro, di ottenere interessi sugli investimenti molto vantaggiosi – altro fumo grazie al quale, per mantenere la farsa, arriverà a truffare parenti ed amici sottraendo loro i risparmi.
Fino al crollo del castello di carte.
Il Vincent di Cantet pare in tutto un gemello del Jean-Claude Romand di Carrére, destinato a mentire non per orgoglio ma per incapacità di adattamento. Il suo “Ho paura di deludere”, emblematico della personalità e della pellicola, esprime molto più di una crisi in ambito lavorativo, che pure viene descritta nei suoi effetti più devianti.
L’esito di questa fuga da se stesso sarà, fortunatamente e fortunosamente, diverso da quello assai tragico per che si ebbe nel caso di Romand. In bilico tra monito ed osservazione rassegnata della realtà, questo è un film con qualcosa da dire, ed anche una ruvida carezza ai deboli di ogni sorta.
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