Prima di cena

Nel mio freezer rimangono, della mia vita di prima, ancora due sacchetti preparati da mia madre: in uno si trovano due cotolette panate, nell’altro un grosso filetto di vitello. le cotolette saranno gli ultimi prodotti a base di carne a sparire: per me sono sinonimo di mamma e di casa e di infanzia. Il vitello, invece, lo cucinerò prima, cotto nel latte e condito col curry.
Dopodiché, in casa non ne avrò più, e sarà finalmente il momento più adatto per modificare, come da moltissimo tempo auspicavo di fare, la mia dieta. E diventare semi-vegetariana. Per farla breve e capirci: proprio come Olivia, intendo rinunciare alla carne di animali allevati a terra, ma continuare a nutrirmi di pesce – che sì, è sempre “carne” ma presenta meno problematicità sotto quasi tutti i profili – e di derivati animali (uova, latte, miele…).

Come vedete non mi sono dilungata nel raccontare i miei perché e percome di questa scelta, ma è da qui che conveniva partire per parlare del libro uscito quest’anno di Jonathan Safran Foer: Possiamo salvare il mondo, prima di cena.
Un libro che più che un saggio personalmente classificherei sotto la voce “non-fiction a tesi“, che ha molto da dire ma senza appesantire (e la leggerezza, tra parentesi, è uno dei vantaggi del vegetarianesimo).
Conveniva partire dal personale, perché nonostante non trascuri di sciorinare una serie di dati, Safran Foer attraversa tutte le pagine, anche quelle di soli dati appunto, dialogando con se stesso e col lettore in modo intimo e non catechistico; per parlare di un argomento attualissimo, fastidioso per chi non lo accetta e faticoso per chi lo accetta: il forte nesso diretto tra cambiamento climatico e consumo di alimenti di origine animale.
Uno sguardo alle sezioni di cui è composto il testo:

  • Incredibile: parte introduttiva e centrale, espone il punto di partenza dell’autore, la sua tesi ed i vari elementi del dibattito;
  • Come evitare la morìa suprema: ogni capitoletto è formato da dati in connessione fra loro, a volte evidente ed oggettiva a volte personale, sintetizzati e sistematizzati in modo tale riepilogare alcuni punti fermi in climatologia;
  • Solo casauna prosecuzione della prima parte, con un occhio di riguardo al tema della speranza;
  • Disputa con l’anima: una lunga e godibilissima auto-intervista, un quarto grado su tutto il materiale presentato in precedenza, una sorta di cubo di Rubik nel quale logica, etica e tecnica girano ciascuna sul proprio perno ed attorno alle altre;
  • Più vitaecco, questa è la parte che mi è piaciuta meno, e che ha aggiunto poco o nulla a quanto già letto. L’autore riprende alcuni concetti, li osserva lateralmente e li lega a membri della sua famiglia (la nonna, i figli); lo fa però a mio parere avvitandosi un tantino su se stesso.
    Infine, abbiamo una
  • Appendice: 14,5% – 51%, questi i due estremi percentuali entro i quali si muove il confronto per definire l’impatto, come dicevo, dell’allevamento intensivo sul mutamento climatico – non sono presentate tuttavia come cifre ugualmente possibili, ma brevemente analizzate. E quale che sia la cifra esatta, la conclusione è che tende per certo verso l’estremo alto.
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Immagine di Lucia Lorenzon

profilo Instagram dell’autrice

In tutto questo emergono spesso e volentieri, come fiumi carsici, il tema della speranza (intesa come concreta possibilità di cambiamento e in ultima analisi di salvezza, non come moto ottimistico privo di scopo) ed il tema della coerenza, sui quali Safran Foer si interroga quasi ossessivamente.
Sulla coerenza ha scritto qualcosa Alessandro, e più che ripetere parole d’altri o tentare di riassumere posso chiosare così: mai confondere la coerenza con la perfezione. La coerenza è un cammino, e sbagliare, fare un passo indietro per poi rifarne due in avanti, faticare è semplicemente umano, non inficia nulla della propria azione – è sull’azione che si insiste molto. La contraddizione non è necessariamente uno sbugiardamento, più spesso è una spia della complessità del reale.
Se volessi estrapolare i concetti cardinali dal testo, sarebbero questi:

  1. “Il nostro pianeta è una fattoria”.
    L’allevamento animale intensivo (del quale non si discute per niente) è la principale causa alla base del cambiamento climatico, più rilevante persino dell’inquinamento industriale e civile da anidride carbonica (del quale tuttavia si parla fin troppo);
  2. le grandi aziende ed i governi possono fare molto per invertire la rotta, ma se pure lo facessero, di per sé non basterebbe.
    Ci vorrebbe questo e anche l’azione individuale, o meglio la somma di milioni di scelte e conseguenti azioni individuali dei cittadini-consumatori, per ottenere non di schivare il cambiamento, ormai inevitabile e già reale, ma di attenuarlo per quanto possibile.
    Non per idealismo, ma per concretezza, la scelta individuale (in primis di consumo) è la chiave non sufficiente ma indubitabilmente necessaria per impedire l’estinzione della specie. Sempre che di evitarla ci importi;
  3. il fatto che discutiamo di cambiamento climatico con una flemma ed una serenità (non dico d’animo, ma di prospettiva a lungo termine) direttamente proporzionali all’urgenza ed alla gravità della questione dipende, oltre che da eventuale ignoranza (ma tralasciamo, qui, il negazionismo) da tre fattori:

a) l’assetto psichico dell’essere umano è tarato, dai tempi ancestrali, sul pericolo vicino nel tempo e nello spazio. Per quanto evidente ed innegabile sia, un pericolo enorme ma di là da manifestarsi pienamente, e magari distante geograficamente (almeno per noi europei!) non è percepito adeguatamente.
Così come l’immagine chiara della Terra, e della sua fragilità di miracoloso pianeta abitato nel mezzo d’un cosmo buio e freddo, ci si presenta solo osservandola dallo spazio: altrimenti, come nell’occhio del ciclone climatico, ci siamo letteralmente troppo dentro per vederla;

b) di conseguenza, sapere una cosa non equivale a crederci. O se preferite, a sentirla intimamente. Tanto per la Shoah quanto per il cambiamento climatico (tra i quali l’autore stabilisce un parallelismo), è l’emotività che un fatto ci trasmette a fare la differenza, non il fatto oggettivo in sé.
Così come per una “ola” allo stadio, anche la comunicazione scientifica – di ogni tipo – ha bisogno di essere veicolata da qualcosa che il nostro intelletto sia in grado di assorbire; di creare una norma, di fondare i presupposti per un’azione emulativa, cosicché le persone comprendanoscelgano fattivamente un dato comportamento e non si limitino a capire concettualmente lo spiegone.
[Se avessi terminato il percorso di studi, avrei dato la tesi proprio sulla comunicazione scientifica].

Possiamo salvare il mondo, prima di cena è un libro che consiglio, a prescindere da quanto ciascuno di noi sia disposto ad ascoltarne il messaggio e ad orientarsi verso una dieta vegetariana – consapevole di come questo sia non ancora sufficiente, eppure indispensabile, cioè il minimo requisito necessario ad arrestare lo stravolgimento del clima per cause antropiche.

45 pensieri riguardo “Prima di cena

  1. Felice che tu abbia affrontato l’argomento e abbia consigliato il libro. Complimenti per la scelta sull’alimentazione, spero non passi molto tempo a che tu divenga completamente vegan come me e molti altri. Non è così difficile o complicato come si crede…

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    1. Innanzitutto grazie 🙂
      Non sto a spiegare nel dettaglio perché “prima” mi fosse impossibile provarci seriamente, ne uscirebbe un trattato di 1000 pagine (considerata anche la mia verbosità), basti dire come tutti sappiamo che gestire una cosa del genere quando si convive con qualcuno, e per giunta di orientamento ed abitudini completamente diverse, è una sfida all’o.k. corral… ne può sopravvivere solo uno 😁

      Sono d’accordo quando dici che non è così difficile quanto si crede: è complesso e sì, per alcuni versi anche difficile, ma il più del casino credo nasca dall’aver preso una direzione precisa ed aver fatto una scelta effettivamente convinta o meno.
      Se una scelta qualsiasi è vissuta come corretta, onesta, ma comunque pesante ed estranea, le motivazioni oggettive non basteranno mai.
      Detto questo, non giurerei che diventerò vegana in futuro, sinceramente, ma lo prendo come un augurio generale 😉

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      1. Hai tutto il mio sostegno. Eliminare i cibi di provenienza animale (anche solo in parte come nel tuo caso) oltre che dare un piccolo ma necessario contributo all’ambiente e alla Vita in generale, potrebbe aiutarti far cadere quelle “mura” che impediscono di vedere le cose nel modo “giusto”. Metto tutto tra virgolette perché non è che ci sono verità oggettive, dipende da come si guarda il mondo…
        Appena riesco ti mando un Link di un video di youtube che ritengo esplicativo.
        Appena riesco…
        Intanto, rinnovati auguri.

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        1. Ti ringrazio. E confermo che sì, il sostegno del prossimo è importante, non tanto per “tener duro” su una linea a volte densa di ostacoli, ma per condividere, che è la spinta più intima nella natura umana, le decisioni rilevanti – e al tempo stesso basilari: cosa c’è di più scontato eppure di più sacro del cibo, che per altro non solo ci nutre ma ci “crea”?

          Posta pure quando vuoi 😉

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        2. Mi spiace, ma pur condividendo alcuni concetti (non solo sulle questioni alimentari) a livello superficiale (per quanto superficiale possa apparire il comandamento, o la norma, di non uccidere ad esempio), le filosofie buddiste non possono suscitare la mia empatia.
          Le comprendo, ma non arrivo ad affermare d’avere qualcosa in comune con esse pur “abitando” un’altra fede, perché le motivazioni e gli scopi di fondo sono comunque dissimili.

          Di tutto quanto detto, trattengo soprattutto la parte in cui la carne è equiparata alla rigidità fisica e mentale: senza arrivare ad assiomi così generali che a orecchie non abituate possono suonare eccessivi, la mia formazione sanitaria sicuramente mi conferma che ogni cibo ha una specifica azione non solo molecolare ma sistemica.

          Buonanotte 😉

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        3. Non dispiacerti. Già sono contento che tu lo abbia guardato. Nemmeno io mi sento di abbracciare completamente l’ideologia buddista (fondamentalmente non sono credente) anche se mi ritrovo in molte delle cose dette in questa intervista.
          Sull’effetto di una dieta di qualsivoglia natura sull’organismo non si discute. Di mio posso portarti la mia esperienza. Sono stato vegetariano per più di venti anni prima di eliminare anche i latticini e le uova. Soffrivo, come moltissimi, di un mal di schiena cronico e al mattino alzarmi dal letto, con l’avanzare degli anni (ne ho 51) era diventata un’impresa. Dopo tre settimane senza formaggio mi sono reso conto di non avere più dolori cronici alla schiena e di riuscire ad alzarmi e muovermi come avessi vent’anni di meno. Ho associato solo in seguito il miglioramento alla dieta vegana, perché di base i miei motivi sono puramente etici. Inoltre, idea del tutto personale, mi fanno molto meno male i denti che come sappiamo sono costituiti da calcio. Calcio che per assurdo viene esageratamente consumato nel nostro corpo a causa dell’assunzione di troppo latte vaccino. Ma non mi addentro in dettagli scientifici che non so spiegare bene e che sono sicuro troverai senza difficoltà nella rete.
          In ogni caso, ti rinnovo i miei auguri.
          A presto.

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        4. Tranquillo, era un modo di dire 😉
          Ciò che mi racconti su schiena e denti mi è nuovo, nel senso che non mi era mai capitato di sentire di benefici di questo tipo da vegetariani – magari però alla prossima occasione scoprirò che non sei l’unico.

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        5. Infatti i vegetariani non godono di questo beneficio perché assumono latticini. Anche io sono curioso di sapere se altri vegani ne godono. Purtroppo ho un carattere da orso bruno e non sono un socialone per cui non frequento molto… .

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        6. A dir la verità, di cosa in comune, e più importante decisamente del discorso alimentare-salutistico ce n’è una – ma ieri era tardi, si vede che ero cotta: quella che lui chiama “austerità”, ed io preferisco chiamare “sobrietà”.

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  2. Appoggio in pieno la tua scelta! Io sono vegetariano da 20 anni (vegano da 5)! Ci sono un sacco di prodotti interessanti per mangiare sostituti della carne anche oltre ai legumi e ai cereali!

    Se trovi i burger beyond, per esempio, provali e non credo che te ne pentirai! :–)

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    1. Mi fa piacere (vedo che spuntano vegetariani di cui non sapevo nulla, come fossero… funghi, per restare in tema e di stagione 😉 )
      Mi segno la marca, nel caso la incroci la proverò – di burger vegetali ne ho già mangiati, occasionalmente, e li ho trovati piacevoli (quelli che ricordo di più sono i Valsoia, di cui mi garba anche lo yogurt).
      Devo dire che fortunatamente non sento un gran bisogno di surrogati della carne, cioè proprio di roba che le somigli nell’aspetto e nel gusto; nonostante sia stata… allevata da mia madre a dosi massicce di carne di cavallo – che nella mia zona e nel mio paese in particolare ha una forte tradizione… per noi è del tutto normale mangiarne (e la mattina dopo montare a cavallo per una passeggiata tra i campi!), ma ogni tanto mi viene in mente la lotta che feci nei miei tre mesi a Roma solo per scoprire che per la capitale una cosa del genere non esiste… credevano li stessi prendendo in giro, ‘na fatica solo per arrivare a dire Okay, voi qui non la tenete proprio la carne di puledro, grazie lo stesso 😅
      Insomma il punto è: riuscire a riempire il piatto quanto basta senza ammattire.
      Ma già so fare uovo al tegamino, pasta e pesce riscaldato in forno… posso sopravvivere! (No, vabbeh, me la cavo meglio di così. Ma certo non mi definirei una cuoca provetta e fantasiosa…).

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      1. La mia scelta verso il vegetarianesimo a 17 anni quando ancora vivevo in casa dei miei e contro il parere di mamma fu la spinta decisiva per farmi diventare un cuoco provetto! :–D

        Ora, provetto no, però dopo tanti anni me la cavo! :–)

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        1. Vabbeh, facciamo allora che prenoto una di quelle “cene a domicilio” con lo Chef Simon (Sì Chef!!!) il quale, possedendo la scienza, la applica per me che attendo comodamente a tavola 😃

          Nel frattempo, procedo a colpi di zuppe, sfoglie ripiene e paste dai condimenti estrosi… o elementari, tipo tonno e paprika 💚

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        2. Perdonami il doppio commento, ma a questo punto mi sento autorizzata a chiederti: perché vegetariano, quando cominciasti?
          Posto che le ragioni più comuni le conosciamo, ma poi ognuno ha le sue.

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        3. Vidi un episodio di Jack Folla (programma prima radiofonico e poi anche brevemente televisivo scritto da Diego Cugia) in cui spiegava come si faceva il foi gras.
          Ci stetti male (è una cosa tremenda, maltrattamento animale allo stato puro) e cominciai a leggere libri e documentarmi su allevamenti intensivi, mucca pazza (erano quegli anni lì)… rapidamente decisi che non volevo più avere a che fare con l’industria della carne (o del pesce) e quindi dissi: Mamma, basta.

          Lei mi portò dal dottore che, curiosamente, disse “Che male c’è? Però almeno una volta a settimana mangiala la carne, su”. Così feci una volta e alla seconda volta lasciai nel piatto i tortellini al ragù preparati da mamma dicendo “sono grande abbastanza da non ascoltare più cosa dice il dottore”.

          La storia è più o meno questa! :–)

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        4. Di “Jack Folla” lessi il libro Alcatraz. Un deejay nel braccio della morte, che m’era piaciuto tanto da conservarlo e rileggerlo per diversi anni.
          Alla radio o in tv non l’ho mai sentito, ma ho presente lo stile, ecco.
          I casini sanitari legati alla carne, per me, erano soprattutto materia da incubo per via di mia madre, che mi dava retta sull’evitare certi prodotti ma era pure una gran testarda, ed io ero sempre in pensiero temendo qualche sua alzata di capo o inaccortezza…
          … sul foie gras purtroppo mi viene in mente un episodio – non sto a raccontarlo perché è banale, e soprattutto fu causato non da posizioni di pensiero diverse ma dall’arroganza di una mia conoscenza – un episodio che mi fece un gran male e da solo, per reazione, rafforzò il fastidio.
          Per il resto, a pensarci, non ho un episodio o un momento chiaramente identificabile come quello della “svolta”, di certo molte cose hanno inciso (per esempio gli innumerevoli video sulle condizioni di vita negli allevamenti, appunto) ma su due piedi non saprei dire. Graduale ed inavvertita, quasi, insomma.

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        5. Anche io ho letto quel libro!

          Non vedo niente di male nell’approccio graduale, ma io sono sempre stata una persona molto “brusca” nelle decisioni, per questo nel mio caso posso individuare l’elemento scatenante con assoluta sicurezza nonostante i tanti, troppi anni passati! :–)

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  3. Quella del riuscire a comunicare i dati scientifici in una maniera adatta a suscitare l’interesse della gente “non sensibile perché troppo addentro al sistema di riferimento” (come dici al punto 3/a) sarà secondo me la sfida centrale della divulgazione scientifica del XXI secolo… io ho letto molti dati sulle ancestrali teorie sul consumo animale (ho letto il famoso «China Study», e l’interessante «Mito della dieta» di Tim Spector, che non è veganista, e dice che un animale una volta al mese o ogni due mesi farebbe secondo lui assai bene, ma ritiene necessaria la riduzione del consumo di carne per via dei disastri ambientali che l’allevamento, non solo intensivo, comporta), dati che però, quando parlo con la gente, vedo spesso «non accettati», «rifiutati»: il cattivismo analfabeta funzionale proprio reagisce a ciò che «va fatto» come un bimbo reagisce alla medicina da prendere: nega il problema, si rifugia nell’Anger e nel Denial dei Five Stages of Grief, e schiuma di rabbia, insultando la medicina e mettendosi a mangiare bistecche o a picchiare neri quasi bullandosi «mangio carne alla faccia dei vegani! picchio i neri alla faccia dei buonisti!»… come se fossero solo vegani e buonisti a “soffrire” di questi gesti, e non l’intera umanità, che con quei gesti viene “negata”… come il bimbo che rifiuta lo sciroppo per la tosse, lo butta per terra ed esulta di averlo buttato per terra, ma che continua a tossire e a lamentarsi che tossisce! — ci vuole certamente una comunicazione scientifica capace di penetrare l’attenzione di questo “mondo rimasto bambino”, questo mondo “bimbominka for life”, rimasto piccolino perché non riesce mai a essere adulto (perché non ha mai un lavoro, mai una casa, non finisce mai di studiare, non guadagna mai regolarmente, e perfino l’azienda dove trova fortunosamente lavoro lo tratta da ragazzino)… e speriamo di vederla presto e di contribuire a “fondarla”! — e io sono felice che Safran Foer, di cui conosco molto poco (il film di Schreiber di «Ogni cosa è illuminata» non mi era neanche piaciuto granché), ne sia già partecipe! — per il resto, io ho sposato una semi-vegana e, seguendo Spector la carne la mangio una volta ogni due se non tre mesi (e concordo con Simon che, una volta scoperti i burger di legumi, la carne diventa optional), ma, colpevolmente, non riesco a rinunciare al miele (che cerco però di comprare da apicoltori che guardo in faccia) 😦

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    1. Guarda, nella mia modestissima esperienza in ambito di comunicazione sanitaria ti dirò che c’è da mettersi le mani nei capelli. Epperò il bello è proprio che al tempo stesso una faccenda così complessa e spesso frustrante – magari anche solo, lo dico da brava misantropa, perché si ha a che fare con la gente… e le persone non sempre, ma la gente è orrenda – una faccenda così, è anche estremamente stimolante.
      Da decenni nelle università insegnano concetti sacrosanti, psicologia non dico avanzata ma aggiornata, ma la insegnano e basta (in modo più o meno nozionistico, e nozionistici sono anche gli “esempi pratici”), non la costruiscono e non la verificano, non la fanno vivere.
      Comunque… di letture, anche quelle ormai stranote che citi, me ne mancano molte. Ma ho capito da qualche anno, dopo una inevitabile fase di approccio intellettuale, che va bene tutto ma alla fine i massimi sistemi devono nascere dal basso, intendo da un sentimento ed una comprensione personali anche rozzi e solo abbozzati, ma lucidi e radicati. Una radicetta stenta se la interri prende e cresce, una foglia o peggio un ramo non ti dà nulla, anche se è un bel ramo fico e ammirevole.

      (Nemmeno a me il film è piaciuto, credo di essere andata in stato catatonico durante la visione. Il libro è diverso, ma l’ho trovato lo stesso noioso nonostante la trama affascini).

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  4. Più che salvare il mondo mi interessa salvare me stesso nel senso di salvarmi l’Anima.
    Nella mia prospettiva di credente credo che necessito di un comportamento rispettoso del creato, ma è il creato che è soggetto (da assoggettare) all’uomo e non vice versa. Con rispetto però, tanto rispetto, e tanto “silenzio”, perchè l’esempio vale più delle parole (buone a suscitar contese).
    Comunque l’unica cosa possibile da salvarsi è “l’Anima”. Spiacente essere cosi duro e categorico, ma è così, che ci si creda o no
    Chi vuol farci un “pensierino”, ce lo faccia…

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    1. Ti rispondo parlando, ovviamente, solo per me stessa:
      da cattolica sottoscrivo, la salvezza spirituale è più importante della salvezza fisica, e sì, persino intesa in senso non individuale ma anche collettivo della specie intera, della natura stessa.
      Ciò non ci esime, né come esseri umani né come tantomeno come cattolici, appunto, dal ragionare e dal prendere posizione chiara e non “laterale” sul tema, anzi sui temi in oggetto – e so quanto dibattito fermenti dagli stessi, in rete e fuori, so anche del dissidio e dello spaccamento che, piaccia o no, esiste tra cattolici con forte orientamento ambientalista (che non costituiscono, comunque, un monolite granitico ed acritico) con la tendenza a dichiarare duri di cuore coloro che hanno obiezioni da muovere – e cattolici che all’ambiente magari ci tengono realmente, magari, ma sentono fortissima la necessità di ribadire che adorano Dio, e non una “dea”, “madre natura”, in genere in forme nient’affatto pagane ma dissimulate, modernizzate e secolarizzate (anche se, comunque, in modo perverso e inconsapevole, lo stesso sacralizzate), finendo tuttavia per chiudere il problema reale (ed il legame, la responsabilità ecc., dell’uomo verso il creato cui pure appartiene) nel recinto delle eresie tout-court.
      Lo so e me ne tengo fuori non per viltà, o così spero, ma perché ritengo di abitare nella terra di mezzo che unisce quanto di valido c’è nell’uno e nell’altro estremo, rifiutando appunto l’atteggiamento esclusivista: il che non significa che non abbia idee nette o non sia disposta a “tagliare qualche orecchio”, se mi intendi, significa che non mi trovo rappresentata né di qui né di là e preferisco far la fatica di condividere e/o commentare, di volta in volta, pensieri specifici.

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    2. Oh, ecco: forse, in modo più breve e chiaro anche se persino più a rischio di fraintendimento, posso aggiungere che la scelta non è tra natura oppure anima, ma tra amore (per entrambe), e voglio dire amore appassionato, viscerale e razionale com’è proprio del cristiano; e d’altro canto “rispetto”.
      Perché il rispetto oggi è raramente tale, è piuttosto una forma codificata di interazione sociale accettata. L’amore per l’uomo e per la natura, come creazioni entrambe a firma divina, presuppone il rispetto, che è autencità, parresìa.
      Ma il rispetto come il mondo lo intende, come il seguire regole quali non inquinare in modo pedissequo, è un fake: è solo formalismo, dunque non cristiano, e nemmeno onestamente ambientalista.

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      1. Condivido tanto, se non tutto, dei tuoi due commenti in risposta.
        Amo tacere ciò che credo scontato; per esigenza filosofiche di brevità -non dico minimalismo- vado di “rasoiate alla Guglielmo O.” come il mio commento sopra. Che è provocatorio, certo, ma ha una sua maieutica che alla fine porta frutto
        Preferisco che gli altri ci / si leggano dentro, nel bene o nel male.

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    1. Sicuramente ne riparleremo, anche se di per sé il mio percorso alimentare dovrebbe essere in comoda pianura, se non discesa: dopotutto sono già molto propensa e sollevata all’idea di smettere del tutto di mangiare carne, i fatterelli concreti da raccontare sono molti, la scelta è però così lineare che se non fosse stato per il libro forse manco l’avrei citata 🙂

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      1. Concordo con la diminuzione, forte, nel consumo di carne, a prescindere dalla decisione di farlo per ridurre inquinamento, disboscamento… c’è bisogno di certe sostanze presenti nella carne, ma non nelle quantità che di solito mangiamo.

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  5. Grazie per l’uso della mia immagine. Scritto interessante, seppur detto da una onnivora con anemia severa da un decennio, una vita sempre in “stato di affaticamento” che più volte ha rischiato la trasfusione, ed intollerante al ferro, che non posso assumere in forma medicinale, per cui la carne diventa pressoché impossibile da abolire (sono anche allergica al nichel e da qui a tutti i legumi, semi oleosi e moltissimi vegetali). Insomma credo che sempre ci siano delle eccezioni da considerare.
    Grazie ancora ♥️

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    1. Senz’altro, Lucia… mi dispiace sinceramente per il tuo “casino”, perché effettivamente è un bel rebus O_o Mi fai venire in mente un’amica che soffre di dermatite, niente a che vedere col cibo ma come te ha mille limitazioni 😦
      Ho senza dubbio la fortuna di poter assumere ferro, quando serve – anemica lo sono in grado leggero, a differenza di mia nonna – ma capisco lo stato perenne di affaticamento, anche se nel mio caso nasce da una patologia totalmente diversa. Hai tutta la mia solidarietà 🌹

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  6. a prima vista non te ne rendi conto, poi ti accorgi che è un tema affascinante, questo del rapporto fra allevamento intensivo, abitudini alimentari e disastro climatico; mi piace di te, cara e bella CD, l’aver inserito il tema «amore», in una visione cattolica (cristiana io direi) fortemente incardinata sulla realtà; molto interessante la segnalazione del testo, ma molto anche le considerazioni private e universali nel contempo

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    1. Libri e pignatte sono un viatico adatto ad attraversare pressoché qualunque mare, non ci occorre molto di più 🙂

      Da cattolica non posso che riferire quanto sta al cattolicesimo, il cristianesimo privato di connotazioni confessionali lo lascerei stare, poiché può andar bene per rassenerare gli animi tra amici, ma a ragionare non serve a nulla: pe restare in argomento, non è né carne né pesce 😉

      Più in merito, quello del clima non è che un ulteriore tassello – ma considerato davvero solo di recente, credo, da noi cittadini della funestata Terra – fra gli altri che portano acqua al mulino del vegetarianesimo.
      C’è poi, forte, la questione etica, complessa ma anche immediatamente efficace nel muovere gli animi, e diverse altre… tutto compreso, devo dire, avrei faticato non poco a trovare la quadra se non vi fosse un elemento banalissimo ma cruciale a sbilanciarmi: trovo proprio sgradevole ed opprimente, a livello fisico, il consumo non centellinato di carne.

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