Sul mare .8: Vedi Venezia e poi vivi

Nelle ultime ore, in cui Venezia è stata bevuta dal suo mare, ho terminato la lettura – lenta, centellinata, immersiva – del fondamentale libretto di Iosif Brodskij Fondamenta degli incurabiliIl russo trovò nella Serenissima una pace, ricercata ad ogni nuova occasione invernale, che assai difficilmente usiamo associare alla città levantina.
E già questo è un fattore che potrebbe indurre chiunque ne sia abbastanza incuriosito a scoprire cos’abbia mai da dire un russo su una delle città italiane più ambigue e ritrose, persino durante il Carnevale.
Ma c’è di più, perché a far da contrappunto alle deliziose immagini dipinte da Brodskij c’è una sua personale, conturbante metafisica dell’acqua; una divagazione sugli specchi che divagano, qui come mai altrove, i riflessi di chi vi si avvicina; una dichiarazione d’amore per la musica architettonica, tanto costruita quanto naturale – la ricorda anche Diego.
Così, dice l’autore, “a furia di scrutare la faccia di questa città per diciassette inverni, adesso dovrei essere capace di fare un po’ il Poussin in maniera credibile: di dipingere l’immagine di questo posto, se non nelle quattro stagioni, almeno in quattro momenti del giorno. E’ questa la mia ambizione. Se finisco fuori strada, è perché qui succede continuamente, con tante strade fatte d’acqua. Da queste pagine, in altre parole, non potrà venir fuori un racconto, una storia, bensì il fluire di un’acqua limacciosa nella stagione sbagliata dell’anno. A volte appare azzurra, a volte grigia o bruna; invariabilmente è fredda e non potabile. Il motivo per cui mi ingegno a filtrarla è che contiene tanti riflessi, tra i quali il mio”.

brodskij.png

[…]

se ami Venezia vieni e restaci
ma non quattro o cinque ore.

Vieni e restaci sei giorni
un mese un decennio
vieni a viverci
innamorati, metti su famiglia.

[…]

[Valentina Confuorto, qui]

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Nelle puntate precedenti:
Sul mare .1: Avventura nell’artico, Arthur Conan Doyle
Sul mare .2: L’isola del tesoro, Robert Louis Stevenson
Sul mare .3: Il mare d’autunno
Sul mare .4: Il mare d’autunno (bis)
Sul mare .5: Long John Silver secondo Björn Larsson
Sul mare .6: Giona, Ismaele, Geppetto.
> Sul mare .7: Le acque del Nord, Ian McGuire

34 pensieri riguardo “Sul mare .8: Vedi Venezia e poi vivi

  1. Nonostante la pena di queste ore, queste tue parole mi hanno fatto riaffiorare una delle mie pochissime memorie letterarie. Sono stati gli aggettivi “ambigue e ritrose”, riferiti a queste città, a causarlo.
    In “La morte a Venezia”, Thomas Mann butta là una fulminante doppietta di aggettivi, non lontani dai tuoi: la qualifica “adescatrice ed equivoca”. Complice il traduttore, che non posso ricordare chi fosse, li trovo fulminanti. Qualche parola in più: ” Bellezza adescatrice ed equivoca: città di fiaba e trappola per forestieri…”

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  2. Ancora una volta mi ritrovo a scrivere sotto ad un tuo post che non mi si confà…

    O meglio, nello spazio commenti di un tuo post che parlava di qualcosa che echeggiava solo come una voce sullo sfondo dentro la mia testa, una sorta di brusio che volevo scacciare, sommerso a mia volta dalla spettacolarizzazione delle immagine giornalistiche di questa città museo, patrimonio dell’umanità, per le cui calli ho passeggiato tante volte e tra le quali ho amato persino perdermi, uscendo dalla strada maestra (ovvero quella in cui procede il flusso maggiore dei turisti che da Santa Lucia vanno ordinatamente, come tante formichine operose, verso Piazza San Marco) per cercare il piccolo sottoportego chiamato con il nome della mia famigla, innamorandomi della sua storia e di coloro che l’hanno cantata, dai gioielli sul Casanova di Luigi Comencini e Fellini, passando anche per pellicole ultra-trash come Nosferatu a Venezia con un decadente e decaduto Klaus Kinski di herzoghiana memoria, fino al terzo Indiana Jones (erede dei vari James Bond e delle loro modalità colonialiste di concepre i viaggi all’estero), senza tacere nemmeno dell’americanata pasticciata (comunque gradevole) dello svedese Lasse Hallström ed il suo film con un Casanova interpretato dal joker nolaniano di Heath Ledger, per non parlare del terribile cinecomic Marvel Spider-Man: Far from Home (si, lo so che è piaciuto quasi a tutti, ma non a me e lo dico con la consapevolezza di uno che considera Tom Holland il miglior Spider-Man di sempre e Zendaya Coleman una Mary Jane davvero leggendaria per il suo carisma terribilmente à la page) in cui gli yankee di Hollywood spaccano sullo schermo persino il Ponte di Rialto (che i Malebranche, come Malacoda e Scarmiglione, possano accoglierli con una doccia di pece bollente nella quinta bolgia dell’ottavo cerchio assieme agli altri fraudolenti), anche se sopra a tutti costoro metto senza dubbio Hugo Pratt ed il suo capolavoro Sirat Al Bunduqiyyah, con la sua storia magica di Venezia ambientata nell’Aprile del 1921 e l’indimenticabile dialogo tra Corto Maltese ed un pozzo…

    Si, perché per me (devo fare uno sforzo incommensurbaile, devi credermi, Jest, per dire quanto sto per dire, perché tutto in me combatte le immagini da cartolina, il carnevale dei turisti, i souvenir delle maschere in ceramica e tutto il bric-à-brac che ha nei decenni reso Venezia la Las Vegas a rovescio della nostra meravigliosa Italia), la Serenissima è davvero un luogo magico…

    Sappi tuttavia che nulla di questo ho scritto, comprese tutte le rimebranze che ho buttato sul tavolo in un finto disordine, non sarebbe nemmeno esistito se tu non avessi illuminato per un istante questo piano dimesionale di grigio squallore con la luce quasi ultraterrena della tua frase «Venezia è stata bevuta dal suo mare», che ha letteralemnte bloccato gli ingranaggi pedissequi della mia quotidianità (un meraviglioso mocassino di Ferragamo o Gucci che si è incastrato tra le ruote dentate del Grande Orologio), che mi ha fatto arrestare nella mia corsa, costringendo le mie sinapsi incredule ad inziare a leggere il tuo post (mentre il mio super-io ed il mio Inconscio, per una volta improbabili compagni di merende, si scambiavano uno sguardo interrogativo e poi, rivolgendosi direttamente a me, mi domandavano «Sul serio?»).

    Potrà sembrarti strano, ma io credo negli “istanti”, nella forza dei singoli “momenti” e dei “dettagli” e nel loro potere quasi metafisico essere in grado di piegare persino lo spazio-tempo, cosicché alcune frasi (senza scomodare la cabala ebraica e l’enumerazione dei nomi di Dio) possono avvicinare due universi distanti e far passare un pensiero tra due punti lontani milioni di anni luce: la parola ed il pensiero come wormhole cosmici nel tessuto del reale, come in alcune poesie o passi di prosa o preghiere o lamenti di chi conosce la verità assoluta senza che nessuno possa udirla, come nel racconto del maestro Harlan Hellison I Have No Mouth, and I Must Scream.

    Ho tanto da fare, tanto da vedere, tanto da leggere (come il tuo post sulla JLA) e mi pesto persino le lunghe orecchie da White Rabbit mentre corro nei cunicoli della lunghissima tana labirintica…

    «Would you tell me, please, which way I ought to go from here?»
    «That depends a good deal on where you want to get to»
    «I don’t much care where…»
    «Then it doesn’t matter which way you go.»

    À la prochaine!

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    1. Ne deduco che la tua famiglia sia una Nosferatu 😉
      Vampiri orrendi alla vista e saggi di una saggezza quieta, lenta, diramata come le ife di un immenso fungo; lo specchio dunque – di nuovo gli specchi! – di un Casanova. Ad eccezione, sì, di quello di Ledger che fa di sé e di Venezia un grazioso ma irreale parco divertimenti: come dire, Venezia, periferia di Orlando, Orange County, Florida. Del resto, perché uno storico caffé dovrebbe chiamarsi Florian? Perché si trova in Florida… ed è pieno di specchi, perché nei sobborghi se ne usano tanti, per catturare quel poco di luce che c’è e rifrangerla addosso alle immondizie.
      Sul serio, il bello di Venezia è che tutti si mascherano e dunque nessuno ha bisogno di farlo davvero, non devi nasconderti perché il marcio che hai dentro sull’acqua è esposto, e tu sei un vitello dalle viscere rivoltate all’esterno. Non sarebbe più bello vivere così? E perché quella stronza maledetta di Viv deve rendere la vita di Johnny una piaga purulenta? Ha desideri legittimi, ma sa bene come perseguirne l’esaudimento – non è stupida, dunque, è scaltra: perché allora non sapeva che “l’amore” non era compatibile con la felicità di entrambi? O lo sapeva ma non le importava, perché chi apre la bocca solo per cantare appare malleabile. Johnny è “buono” perché mi fa da specchio.
      Vedi l’importanza della conoscenza non-biblica prematrimoniale? Ci vuole tempo per rompere gli specchi che incolliamo sulla faccia degli altri. Non è la carne che va rieducata, è lo spirito. Io guardo le dita, le maledette unghie di Phoenix e le trovo così simili alle sue, e mi sale un moto di ripulsa: ma se pure fosse invece un moto di attrazione, che me ne viene? Mi sto di nuovo specchiando, vedo fantasmi che appartengono solo a me. Ci ho provato, e magari neppure in tutti i modi possibili, a rompere qualche specchio. Non so se ci sono riuscita. Intanto sono sola, e non so dire se questo significhi un successo o un fallimento.
      L’essere umano spera e cerca dedizione, ma non la può sopportare quando la trova.

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      1. Lo specchio ci trova sempre impreparati, cara Jest, quasi in agguato, come qualcuno accovacciato in terra in cima alle scale, di cui intuiamo la presenza e che sappiamo ci spaventerà…
        C’è del metodo in questa tua/nostra follia, l’odore di bucato di una camicia di forza legata stretta e quindi un po’ di assoluzione (parce mihi, domine, quia insanus sum!)…

        Ecco, pensavo alla tua prosa e la vedo così flow… Da innamorarsi di quelle parole.

        Buona notte

        P.S. Le radici familiari di mia madre, come ebbi a scriverti, si perdono nelle macerie della guerra, di cui ella fu presumibilmente un’orfana, mentre quelle paterne sono nette, con ramificazioni che si innervano dall’Istria di Pola e risalgono a Zara ed a Trieste, sostando poi in Friuli ed adagiandosi solo per poco in laguna.
        D’altronde il cognome chiarisce la provenienza… Nulla di strano, perciò, nel riconoscersi nella toponomastica di un sottoportego…

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        1. Ho sempre amato l’odore di bucato appena steso, ed anche quello di camicia stirata (non inamidata), che nel fiore degli anni ho associato all’odore di un ragazzo che ho amato. Vada per la camicia di forza, allora, purché sappia di buono.
          Se – quando – sarò a Venezia, mi indicherai il vostro sottoportego?
          Buonanotte, fanciullo.

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    1. Ma ♡!
      Fossi accademica, vivrei nel lusso e sbolognerei tutto il lavoro sporco ai miei assistenti-schiavi (non è vero: non riuscirei a delegare quasi niente, lavorerei il doppio del normale ma almeno avrei cannoli siciliani e bomboloni alla crema e Sachertorte a volontà ogni giorno).
      Mia cara, che tu mi abbia piazzato un complimento così proprio su un post breve mi manda in visibilio, perché è il tipo di cosa che vorrei scrivere più spesso e bene.
      E quando scopro come faccio a scrivere, in qualsivoglia maniera, prometto che te lo faccio sapere subito: tu come fai?
      Lo sai che in una mail della settimana scorsa un mio caro amico mi ha scritto che TU scrivi meravigliosamente? Linko lo screenshot dai miei media:

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      1. Omg, digli che lo shock per questo complimento mi è arrivato talmente forte che mi sono venute le mèches *_* Poi sul post per i cacatua, il che significa che là fuori c’è davvero qualcuno che sono riuscita a convincere del loro essere creature eccelse! Gratitudine a fiotti!! ^_^
        No, davvero, ogni tanto leggendoti scopro parole che non conoscevo o che non mi sarebbe venuto mai in mente di usare. E poi tu, insieme a qualche altro blog, mi fai venire voglia di leggere di più. Perché meglio di una bella scrittura non c’è quasi nulla. Sur ce, vado a nanna che domani mi attende una giornata ricchissima d’ansia ;*

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        1. Oplà, mi mancava l’amica Ansia 😄
          Salutala ed abbracciala da parte mia.
          Eh, non so come ringraziarti, è davvero tanta roba, perciò ti ringrazio e basta. Me felice! 😍 Nite-nite.

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        2. “L’intensità dei suoi affetti familiari è straordinaria: quando morì il suo terzo marito divenne completamente bionda per il dispiacere.” (Oscar Wilde, “Il ritratto di Dorian Gray”)
          Leggere quel testo, segnalatomi da Celia, è stato per me un vero piacere, come lo è ora questoincontro. Alle prossime occasioni, quindi.

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        3. Se son brocchi non li spaccio in giro 😉 🥦

          (p.s.: ieri ho messo su due koala nell’ultimo post! E il solito link a te, vabbeh, che sei la mia riserva zoologica. Come li amo ❤ )

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