Omo .2: Il compleanno, Marco Filiberti

L’ho pescato da non so più quale elenco trovato in giro, perché ne avevo letto un commento positivo: mi sono fidata, ma non mi aspettavo nulla più di un filmetto carino. E lo ammetto, in questo gioca anche un filo di pregiudizio cinematografico anti-italiano – quando si punta molto in alto, il tonfo è più pesante.
Invece già ad un terzo di pellicola (si fa per dire) mi son trovata conquistata, ad un certo punto ho addirittura sussurrato capolavoro. Lo sussurro anche adesso, perché non ho il fisique du role della spettatrice sicura di sé e dalle idee sempre chiare; comunque a distanza di giorni il mio giudizio ancora non è cambiato – ed anzi non mi dispiacerà rivederlo, anche a breve, con qualcuno.
Persino la produzione, ho controllato, non è condivisa con gli USA nonostante si faccia uso abbondante di personaggi e riferimenti americani. La ZenZero Productions s.r.l. è italiana, ad ogni modo nella pagina dedicata sul sito del regista (Marco Filiberti) i crediti vanno ad Italia e Francia.

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E’ stata in particolare la presenza di Gassmann a farmi aggrottare la fronte: niente contro di lui, ma dopo l’orrenda esperienza de Il nome del figlio della Archibugi mi ha lasciato un riflesso condizionato, e mo’ lo associo all’idea di remake-ciofeca. Me spiasce, Ale, ma pure tu lo dovevi sapere che era ‘na cazzata rifare alla maccheroni Le prenom (Cena tra amici). Eddai, su.
Ad essere onesti, svolge bene il proprio ruolo, che però purtroppo per lui (gli ho visto far ben di meglio) è quello eterno di adolescente cazzaro troppo cresciuto per comportarsi da adolescente cazzaro. Più o meno.
Per il resto, c’è da godersi le brave Michela Cescon e Maria de Medeiros (disgraziatamente, dall’espressione intensa ma unica: quella malinconica e vittimale), un Thiago Alves sicuramente adeguato (ma soprattutto bono, diciamolo, e ben gestito da Filiberti), e soprattutto quel Massimo Poggio che io ho conosciuto attraverso la seconda stagione di Che Dio ci aiuti!, e che qui spacca tutto. Ma tutto tutto.

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La vicenda ruota attorno a due coppie: quella di Diego (Gassmann) e Shary (Cescon), che stanno insieme sì, ma in maniera alquanto allentata e spesso fisicamente distante (questo vale anche per David, loro figlio, residente in America); e quella formata da Matteo (Poggio) e Francesca (de Medeiros), con una figlia piccola, solida e fin troppo placida.
A smuovere le calme acque della vacanza al mare dei quattro amici arriveranno in visita prima di tutto Leonard (Christo Jivkov), fratello di Shary, solitario e sempre pronto a ripartire, con un segreto nascosto dietro la perenne aria di rimpianto di un amore che non c’è più; e poi – vero fulcro degli eventi – David (Thyago Alves), figlio di Shary e Diego e dunque nipote di Leonard.
David a sua volta solitario, vagamente indolente, in quanto modello accerchiato da stuoli di ragazze acerbe più di lui che lo venerano. Ma, anche, David che cerca una libertà a cui non sa quale forma dare, che vorrebbe scrollarsi di dosso una cappa di omertà, di oppressione: una cappa che non grava sul segreto, quasi di Pulcinella, della sua omosessualità ma piuttosto su – io credo – un episodio che lo lega allo zio Leonard in un modo nemmeno immaginabile all’inizio.

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Ma forse pare inimmaginabile solo a me che non conosco affatto la storia di Tristano e Isotta (mentre Filiberti è anche cantante lirico): l’incipit del film ritrae infatti le due coppie succitate insieme alla rappresentazione dell’opera a teatro, in una sorta di ironica natura viva che parrebbe ancora emergere dal fondale di una normalissima commedia all’italiana.
E’ solo in seguito che i toni si fanno più critici, drammatici, carichi di non detti, e scopriamo che avremmo dovuto essere più cauti ed attenti, prendere quelle note tragiche di sfondo ai dialoghi dei quattro amici per quel che erano veramente: un avvertimento.
L’attrazione tra Matteo e David, infatti – reciproca ma sicuramente, da parte dell’adulto, più subìta e sofferta nel tentativo di arginare lo sconvolgimento passionale, che sottilmente agìta e disinibita come nel caso del ragazzo – porterà ad una conseguenza dolorosa e, peggio, lascerà aleggiare nell’explicit un’aria di predestinazione, di ineluttabilità, di lutto irrevocabile chiamato a gran voce dall’eros.
Da una banale sbirciatina a David che si fa la doccia, giochi di sguardi, un giro in vespa insieme durante il quale Matteo reclina la testa sulla schiena dell’altro e stringe le gambe attorno alle sue nel primo segnale limpido di interessamento… passando per la scena della masturbazione di David sulle note di Maledetta primavera, che in qualunque altro contesto suonerebbe (aha) improbabile e grottesca e risulta qui invece, semplicemente, splendida. Carica di tensione erotica ma anche di candore estetico. Fino alla conclusione agognata e disperata insieme.

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Espongo dunque la mia piccola teoria, avvertendo chi voglia vedere il film che farò un grosso spoiler.

— spoiler —

Matteo si strappa dai propri sussulti (morali?), cede agli impulsi e scopre di non essersi illuso: Davide lo stava aspettando. Mentre però, al termine di tanti inseguimenti, consumano la passione vengono trovati insieme da Francesca, che vedendo il marito cavalcare un uomo e capendo tutto d’un colpo la ragione della sua recente ombrosità scappa, in preda allo sconvolgimento.
Matteo sta ancora scendendo le scale di corsa quando sente il rumore di una brusca frenata ed un botto. Anche Davide lo sente, e nonostante Matteo gli avesse coperto gli occhi alla comparsa della moglie sulla porta, pochi istanti dopo capisce. E allo spettatore è subito evidente che in lui non c’è imbarazzo, né c’è dispiacere per l’essere stato còlto in flagrante a fare di un uomo sposato il suo amante; c’è piuttosto una consapevolezza tragica, di nuovo, come di una Cassandra che non porta sventura ma può solo calcare la scena recitando la propria parte pur conoscendo già i nefasti esiti del copione.
In altre parole, secondo me al momento dell’incidente di Francesca Davide piange perché si porta inscritto dentro un destino negativo che s’è compiuto ancora una volta: perché questa non è che la ripetizione di un fatto precedente, quello per cui suo zio Leonard ora si tormenta. La donna che Leonard rimpiange, io credo, l’aveva a sua volta trovato insieme a David, e il dubbio che Shary insinua sulla sua morte (alludendo all’idea che non si sia trattato realmente di un suicidio) si spiegherebbe con un incidente, d’auto o d’altro genere, fatale ma non voluto, non cercato, in cui la donna sarebbe incappata mentre s’allontanava angosciata dalla propria scoperta.
Come atti e personaggi di una tragedia greca, appunto; nella quale David ha il ruolo di  una Circe.
Ma non c’è modo di sciogliere la malìa, né per Leonard né per Matteo, che del resto qualunque mossa facciano in futuro ne hanno già avuto la vita segnata.

— fine spoiler —

thyago alves

A conclusione di questo lungo racconto, non posso che dirmi nuovamente entusiasta per la resa della sceneggiatura, interamente opera del regista, e per quella attoriale (la quale include anche una particina per Piera degli Esposti).
Leggo che all’uscita (2010) fu distribuito in sole 14 sale italiane.
Lo consiglio vivamente, e quanto a me lo metto in lista per una futura (re)visione.
Trovate qui un’intervista a Filiberti.

27 pensieri riguardo “Omo .2: Il compleanno, Marco Filiberti

    1. Well, thank u so much!
      Spasiba, finuocchietto ❤
      (Mannaggia mo' come faccio? Ci hai lasciati con un cliffhanger tremendo, tra Paio Miguel e l'intrusa…).

      Oddio, spero di non aver incensato troppo 'na roba che poi magari fa schifo a tutti, aha 😅
      No, ma io credo davvero che valga.
      Indagherò meglio sul regista, che per altro ha dedicato la sua opera prima ad una pornostar! 😁
      Il genere che non ti attizza è il drammone con riflessi epico-tragici, il drammone adulterino o il drammone omosessuale?

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        1. Oh! Interessante distinzione.
          Per me è più problematico trovare commedie italiane che mi soddisfino, invece. In anni recenti ho cominciato a bazzicare quelle francesi.
          E che fine ha fatto ora il cineforum?
          Io vorrei tornare, con l’anno nuovo, non solo al multisala (con abbonamento regalato) ma anche nel cinemino indipendente a sala singola, dove un amico mi ha fatto scoprire alcune chicche vecchie e nuove.

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