Sono un mito .9: Beata te!

Beata te!… quante volte vi è capitato di sentirvelo dire da chi di voi non sa nulla, e proprio in una contingenza in cui beate non siete affatto?
Io penso naturalmente alla malattia, che è il mio cruccio più importante, ma il discorso vale per chi non lavora e si pensa viva nel dolce ozio, per chi non avendo figli qualcuno presume disponga di tempo denaro e risorse illimitati, per chiunque goda di un dubbio privilegio…
… una delle mie scene “memorabili” ha visto protagoniste me ed una vicina impicciona e petulante. La conversazione non la ricordo, mentre ricordo distintamente che, al termine, lei mi disse:

Hai buontempo, tu!

Per un bresciano, avere buontempo (ìgò bütép, che non è assiro-babilonese ma appunto dialetto bresciano) significa aver tempo da perdere in sciocchezze, essere allegramente con la testa tra le nuvole, non aver pensieri e, insomma, viversela comoda.
Cioè, siccome non lavoravo (perché, sai com’è, mi era un po’ difficile trovare impiego da caregiver a sua volta limitata dalla malattia) e in quel momento tornavo dal mercato, senza fretta, godendomi la giornata soleggiata; allora ero una persona fortunata (dipende), servita e riverita (falso) che campa sulla pensione di mammà (verissimo), e se la spassa alla faccia di quelli che faticano e si dan da fare (falsissimo).
Ecco, io a questi che la loro fatica ed il loro darsi da fare li elevano a medaglia d’onore, a motivo di santificazione, ad eroismo; un riconoscimento in effetti lo darei: un bel calcio nei denti, ecco cosa gli darei.

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Per esempio, la scorsa settimana – sotto al post dei film visti in gennaio – mi sono ritrovata un commento in sospeso (il primo commento di ogni nuovo visitatore va in moderazione).
Una robina simpatica, ma tanto simpatica che ho pensato di dedicarle un post apposito: questo. Precisazione: per quel che ne so, l’ignoto lettore potrebbe anche essere stato in buona fede, aver prodotto una frase infelice senza però rendersi conto dell’effetto che fa uno che esordisca in tal modo su di me (ma pure su chiunque, direi). Perciò, se l’interessato è ancora all’ascolto, e riconoscerà di aver fatto un involontario passo falso, me lo scriva, e ripartiamo da zero. Se lo “uso” qui è per sputtanare un atteggiamento, non una persona – della quale oscuro i dati, ad eccezione dell’alias che è pubblico.
Anche se una parte del commento lascerebbe pensare che in una certa misura conosca la mia situazione, almeno quella non-lavorativa… giudicate voi:

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Ho meditato di approvarlo e rispondere. Poi di scrivere una riga alla mail privata, chiedendo se l’intento fosse innocente o meno. Nel frattempo, come sempre faccio, ho screenshottato e salvato, ‘ché nella vita internettiana è sempre bene archiviare le prove.
Ma ora trovo che la miglior risposta fosse incidentalmente contenuta nel mio ultimo post della serie Childfree:

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Ecco: semplicemente, pensateci meglio, prima di digitare e anche prima di inviare quanto avete digitato. Magari non c’è cattiveria e non c’è stupidità, solo avventatezza. Però evitate.
E no, non vale la scusa “non sapevo che fossi disoccupata cronica / malata cronica / sfigata cronica”: non serve sapere un accidente, è il banale buonsenso che suggerisce di non buttar lì frasi con leggerezza: non è la leggerezza dei prodotti light, è superficialità.
Forse non lo immaginate, neppure, ma è offensiva.
Non temete: si può guarire.
Provate a pensare a qualcosa che non vi riesce di ottenere o mantenere, che “tutte le persone normali fanno”, e sulla quale i vostri parenti / amici / colleghi / animali di casa fanno dell’ironia gratuita, o commenti ingenui e cretini. Prendete l’esempio, e non imitatelo. Come nei programmi tv survival: non imitate a casa. Grazie.

Se vi trovate davanti uno/a che non lavora e non ha famiglia, prima di dire che non ha problemi, non ha pensieri ed ha invece tutte le comodità, chiedetevi come faccia a (soprav)vivere.
Non è mica facile, sapete? E’ come fare giocoleria con dei piatti di ceramica, anziché con palline di gomma. Prima di riuscire a stupire il pubblico, tanto prodigo di complimenti, s’è fatta una strage.

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Illustrazione di Stephan Schmitz

Nelle puntate precedenti:
Sono un mito .0: La medicina narrativa
Sono un mito .1: Please meet mitochondria
Sono un mito .2: t-RNA-leu-A3243G
Sono un mito .3: Dep 2 Death
Sono un mito .4: Un epistolario
Sono un mito .5: Come bambini
Sono un mito .6: Libera
Sono un mito .7: Attrice in erba
> Sono un mito .8: Lo stato dell’arte

23 pensieri riguardo “Sono un mito .9: Beata te!

  1. I passanti commentatori riescono ad ottenere il massimo danno dal minimo di parole…
    Teoricamente la regola sarebbe: non dire agli altri ciò che non vuoi venga detto a te. (Se non sbaglio anche qualcuno famoso disse una cosa simile, tempo fa…) Però il mio timore è che il precetto abbia un risvolto inaspettato: è proprio perché si è individuato cosa ferisce, che lo si dice. E’ proprio perché so che dire “beata te che hai tempo libero” fa male, perché farebbe male se lo dicessero a me, allora lo dico a te.
    Temo che solo il Potere della Luna di Sailor Moon ci salverà 😀
    P.S.
    In un vecchio film con Tony Servillo il protagonista soffriva d’insonnia, e la cosa che più odiava era quando la gente gli diceva: “Beato te, che così hai più tempo libero”.

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    1. Ahah, sì, ma io la capisco: mi basta una comune pratica burocratica per mandarmi ai matti, e del resto dico sempre ad un amico che appunto ha diverse proprietà che non vorrei essere al suo posto nemmeno se mi pagassero oro… per cui un po’ beata mi ci sento, ma io di me stessa posso dirlo 😉

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    1. E’ sempre utile. A volte a tutti scappa lo strafalcione, ma se siamo persone vagamente razionali e serene possiamo farne tesoro. Come ho voluto precisare, non ce l’ho col tizio di passaggio (?) ma con la frase, magari ci sta ancora seguendo e fa capolino… chissà!

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  2. Ricordo di essermi sentita dire che avevo buontempo quando:
    figli piccoli da accudire e nessun aiuto (eh, che botép, puoi andare a passeggio tutte le volte che vuoi coi tuoi bambini)
    depressione post partum (eh, hai buontempo te…una volta c’era da lavorare, altro che esaurimenti nervosi)
    licenziamento e obbligo di lavoro da casa come freelance (eh, che buontempo, non devi mica uscire per andare in ufficio)
    Tutte le volte che si agisce con superficialità, specialmente con le parole, si ferisce in modo quasi indelebile.
    Pensiamoci, prima di sparare sentenze.

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      1. Dovremmo avere sempre a portata di mano una frase pronta, come quella del Rotary sotto all’insegna dei parcheggi riservati a disabili: se vuoi il mio posto, prenditi la mia disabilità.

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  3. Dico ancora la mia. Dopo un tumore maligno (ma il “migliore che un uomo possa avere”) una mia conoscente mi disse: “certo che hai sempre un culo” ma seria eh…. Per la carità siamo d’accordo che esistono malattie anche peggiori ma c’è pure avere niente! Ma va bene così dai😁

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  4. Ciao! Ho una situazione simile alla tua per certi versi, e questi commenti mi sono arrivati sia da parenti che da vicini, con una leggerezza disarmante! La mancanza di empatia è la più grande piaga… Non meritano nemmeno precisazioni, non capirebbero…

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