La saga del Mascheraio .5: Oggetti Volanti Identificati

Abbiamo lasciato il nostro narcisista patologico mitomane a raccontare una delle sue storie, giusto ieri. Ma il narcisista non si limita a parlare, no: lui agisce. Certo, è un’azione distruttiva la sua, ma come non riconoscergliela?
Per esempio, lui lancia cose. Lancia occhiate omicide – che detto così sembra una bazzecola, una battuta scherzosa, ma io parlo proprio di sguardi rabbiosi, violenti, di quelli che ti tolgono il fiato e ti mandano in stato d’allerta.
Lancia urla ed insulti, in accessi d’ira frequenti ma per lo più imprevedibili, così da lasciarti sempre una sottile sensazione di disagio, di tensione. E, s’intende, ampiamente immotivati.
Lancia oggetti, anche: memorabile, tra gli altri, un busto di Mussolini che durante una sessione di gioco mi volò a un centimetro dall’orecchio, andando a schiantarsi contro la parete alle mie spalle. Per la cronaca, il busto rimase illeso, la parete no.

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Ma perché? E che t’ho ffatto iooo?!

 

La finestra della cucina, invece, non poteva mica lanciarla: in compenso, mi ci ha sbattuto contro mettendomi le mani al collo, ed il risultato è stato il medesimo; cioè che la mattina dopo abbiamo attraversato la città, insieme, con la finestra in groppa (sua) per portarla in riparazione dal vetraio, o come diavolo si chiama.
E’ stata una violenza? Sì e no. Più sì che no, debbo ormai dire, anche se allora – e specialmente nel mentre – non la pensavo affatto così: non che minimizzassi l’importanza assoluta del gesto, ma nell’economia relativa del rapporto capivo. Capire non è giustificare, sia chiaro. Ma capivo che non stavo realmente rischiando un danno grosso. Tant’è che lui s’è spaventato di se stesso, invece io (scema, ma non per altro: perché non se lo meritava) l’ho tranquillizzato e consolato. Anzi, ho fatto di peggio: ho scritto un post sull’accaduto, un post poetico e devoto, traendo da quell’impulso aggressivo conclusioni di tono affettivo positive. L’ho già detto: scema?
Un episodio di “discontrollo”, come lo chiamerebbe uno psicologo o psichiatra, di pari misura non s’è più verificato dopo allora. Non nei miei confronti. Certamente, però, apre una grossa riflessione, ed una finestra che stavolta non si può riparare né lasciare lì a sbattere contro l’infisso (a proposito: dopo aver recuperato i cocci dalla verandina, uno me lo sono tenuto per ricordo. Fino a qualche anno fa).

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Anche perché, pur meno gravi, situazioni simili non hanno mancato di riprodursi di lì a breve: poche settimane dopo, infatti, ne capita una; banale ma significativa ed emblematica.
Stavo chiacchierando con Stefano, il suo (ormai) ex, che lavava i piatti dopo cena. All’improvviso Andrea sbuca dallo studio di corsa, palesemente inalberato, scambia due battute con S. che non placano la sua incazzatura (e quando mai), anzi piuttosto la rinfocolano, al che S. si becca un sonoro ceffone. A. piglia il sacco della spazzatura, dichiara che va a portarla giù ed infila la porta come un uragano.
Al suo ritorno, un paio di minuti dopo, A. sembrava un altro… non nel senso che si era pentito, eh, giammai: semplicemente, come capitava spesso e come può capire solo chi l’ha visto succedere, aveva scordato, o meglio rimosso, tutto quanto. E’ venuto in cucina bello sereno e sorridente, mentre noi muti, con una faccia funebre, e se ne è stupito. Ci ha chiesto se andava tutto bene, ha avvicinato Stefano con tanto di bacio e abbraccio, e niente: stava lì imbambolato senza comprendere.
Ha compreso poi, quando gliel’abbiamo raccontato, perché come detto non era la prima volta né è stata l’ultima… ma, intanto, il ceffone è partito. L’umiliazione c’è stata. E tanto più assurdi poiché apparentemente, per Andrea, mai esistiti.
E’ un meccanismo di difesa psichica che non mi stupisce, e che se cadesse di colpo avrebbe conseguenze tragiche. Ma io gli auguro che, almeno in tempi e modi adatti, finalmente cada. Andrea è ancora giovane. Ha ancora l’occasione di rovinare, o comunque inquinare, diverse vite, ma pure la possibilità di risolvere e riscattare la sua.

ϟ

[20 novembre 1952]
[…] quella passeggiata, con il continuo alternarsi di stati depressivi e fasi aggressive, di autocompatimenti e di deliranti progetti per il futuro, era indicativa della labilità psichica di Hitler, non solo in quella giornata, ma sempre. E durante la guerra questa condizione assunse evidenza quasi quotidiana.

[2 gennaio 1962]
Ancora una volta, quest’oggi, ho riflettuto che Hitler ha guastato non solo il classicismo, ma tutto ciò che ha toccato, quasi fosse una sorta di Re Mida all’incontrario, al cui contatto tutte le cose si trasformassero non già in oro, ma in alcunché di morto. […]

[…] lui [Speer] continuava a pensare che il capriccio del momento [di Hitler] avesse avuto una parte decisiva, come quasi sempre accadeva in occasione delle decisioni di Hitler in materia di scelta delle persone.

[…] Hitler gli avrebbe comunque dato da intendere un paio di volte che Goering era stato, sì, per la maggior parte del tempo considerato il suo successore in pectore, facendogli contemporaneamente capire che ormai lui, Speer, avrebbe avuto le migliori possibilità si subentrargli. Ma solo un paio di frasi dopo sarebbe seguita un’osservazione che avrebbe rimesso tutto in dubbio.

[…] come se un’amicizia potesse essere “spenta” e poi “riaccesa” alla prima occasione. Vi aveva colto un disprezzo dal quale sino ad allora aveva pensato di essere eccettuato.
Naturalmente non si trattò di una rottura repentina e completa. Sarebbe stato invece un lungo processo, con dubbi, ricadute e nuove spinte estranianti. Eppure: quando Hitler, dopo il loro conclusivo chiarimento della fine di aprile 1944, lo pregò di tornare nella vecchia compagnia del Berghof, si sarebbe sentito, nonostante lo squallore che ancora vi imperava e i dolori che continuavano a tormentarlo, “sollevato e perfino felice”. Poi, dopo una pausa, ha detto, più per se stesso che a noi: come si fa a capire un uomo dai simili scarti emotivi?
[…] l’atteggiamento di Hitler nei suoi confronti sarebbe stato in quel periodo continuamente altalenante. Durante gli esami della situazione, avrebbe riadottato, dopo le prime effusioni di riappacificazione, l’atteggiamento insistentemente critico […]

Repentini e drastici cambiamenti d’umore, massima volubilità ed incapacità di mantenere una coerenza, di sopportare le proprie contraddizioni interne, tanto da mettere in atto difese psichiche estreme.
Intolleranza per tutto ciò che, pur minimo, può contraddire uno schema del mondo rigido e autocentrato, senza il quale il narcisista imploderebbe, e di conseguenza anche incapacità di riconoscere alle altre persone un’importanza, una dignità, un valore, un’abilità – addirittura una realtà, nella propria realtà distorta.
Suggestione e soggezione esercitate come mezzi di prevaricazione:

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[31 gennaio 1949]
[…] Un giorno, a tavola, il Fuehrer riferì agli ascoltatori di aver fatto venire e scelto personalmente i vari tipi di marmo occorrenti [per un edificio di regime]. Possibile che non si fosse accorto che io sedevo al tavolo accanto? Oppure, la cosa gli riusciva del tutto indifferente? Ancora oggi, a ripensarci, mi stupisce che persino in bagatelle del genere cercasse onori, lui che già da un pezzo era guardato con stupore dal mondo intero.
Anche nel corso delle Lagebesprechungen militari, Hitler non di rado forniva particolari tecnici che gli erano stati esposti poco prima dai miei esperti, il professor Porsche o Stieler von Heydekampf, presentandoli come farina del suo sacco, e non di rado capitava che affermasse persino di aver letto durante la notte, benché la conferenza fosse finita soltanto verso l’alba, un’opera scientifica o storica di molte centinaia di pagine.

[20 novembre 1949]
Ancora il giorno prima, Hitler aveva potuto definirmi un architetto di genio, ma chi poteva garantire che il giorno dopo non avrebbe detto: “Giessler mi piace di più”?
[…] E’ significativo che, subito dopo aver ricevuto da Hitler le prime, grandi commissioni architettoniche, io sia stato preda di tanto in tanto di sentimenti di angoscia sotto lunghe gallerie, sull’aereo oppure in stanze anguste. Il cuore prendeva a battermi furiosamente, mi sentivo mancare il respiro, avvertivo un peso al diaframma, avevo l’impressione che la pressione sanguigna salisse di colpo. Sensazioni di angoscia nel pieno della libertà e del potere! Adesso, nella mia cella, non le provo più.
[…] I disturbi erano scomparsi, senza interventi terapeutici, quando, dopo l’inizio della guerra, l’interesse di Hitler si era rivolto ad altro, e io non ero più stato il fulcro della sua attenzione, e anche del suo affetto.
Poco tempo fa ho letto in Oscar Wilde: “Influenzare qualcuno è come conferirgli un’anima estranea. Non pensa più coi suoi propri pensieri, non è più divorato da una sua passione. Le sue virtù non appartengono più a lui, persino i suoi peccati li ha soltanto in prestito”.

[6 maggio 1960]
Bisognerebbe ben decidersi a scrivere qualcosa a proposito del dilettantismo di Hitler. Egli aveva l’incultura, la curiosità, l’entusiasmo e la faccia tosta dei dilettanti nati; a ciò s’aggiungevano ispirazione, fantasia, disinvoltura.

Speer parla della tendenza di Hitler a interloquire in qualsiasi cosa, a esprimersi su ogni questione in forma apodittica, anche quando gli mancavano le necessarie nozioni specialistiche. Sarebbe stato un aspetto che – come sostiene di sapere bene oggi – avrebbe solo minimamente distinto Hitler dai comuni “chiacchieroni da osteria”. Lo ha definito “un dilettante altamente dotato”.

Oggi Speer ha detto che Hitler sarebbe stato il tipico autodidatta. Lo si sarebbe desunto già dal suo modo di argomentare. Avrebbe cominciato ogni volta col rovesciare addosso al suo interlocutore, anche per intimidirlo, una profusione di fatti assertivamente inconfutabili e di colonne di statistiche.
“Ma nulla di tutto ciò era criticamente elaborato, né erano state prese in considerazione posizioni antagonistiche. Ciò che serviva al suo scopo l’usava poi connettere con tesi audaci, non di rado autenticamente impressionanti. Ed erano quel che c’era di effettivamente travolgente in lui, di disarmante. Poi occorre aggiungere il modo suggestivo in cui si esprimeva. Indimenticabile e indescrivibile inoltre la singolare e vertiginosa concitazione con cui esponeva le sue convinzioni, anche quando si trattava di questioni secondarie”.

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Tutto questo, meravigliosamente orribile, non rende (né lo farà mai) l’idea, per tacere della sensazione concreta, del legame che avviluppa il narcisista alle sue “prede”. Di questo, nuovamente con ampie citazioni da Speer e dal suo biografo Fest, dirò qualcosa nel prossimo, ed ultimo, post in proposito.

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