Luoghi abbandonati .1: Diventare terra

Se non verrà prolungato ulteriormente, siamo ormai a pochi passi dal termine del blocco totale – inutile che ve lo dica: il 5 maggio non tornerà tutto e subito alla precedente normalità. Sarà comunque una boccata d’aria (sempre a distanza, mi raccomando…).
In un momento in cui però ancora le nostre città hanno una vaga somiglianza, specie in certe ore, con le vere e proprie città fantasma (del Far West, con le insegne dei saloon ciondolanti al vento e la polvere che corre per le strade, ma anche italiane e contemporanee), ho deciso di rispolverare – appunto – un vecchio post sepolto nelle bozze, introduttivo al mondo dei luoghi abbandonati che mi affascina moltissimo.
Vedremo poi se, e con che frequenza, riuscirò a rimpolpare quest’argomento. Non importa: questi luoghi non hanno fretta, ed il tempo non può che renderli più “carichi”.

αω

Prima dell’abbandono, i “luoghi abbandonati” hanno avuto una storia viva.
La storia delle case che noi umani abbiamo costruito, ma soprattutto abitato – e nella contemporaneità sappiamo non essere scontato che le due cose vadano di pari passo.

Round Mansion - Western Belgium - ii

Kasas nelle lingue indoeuropee significa abitazione, rifugio, ma anche tappeto. L’inizio è stato una casa nomade, un tappeto che separava la polvere e la dura terra dallo spazio coperto e caldo.
Luca Molinari, Le case che siamo

Round Mansion - Western Belgium - iv

Una casa abbandonata, però, non è una casa morta: vive in modo differente, in genere più intenso seppur velato da strati di polvere e teloni di plastica.

Entrare nelle case abbandonate non è facile, ti possono mangiare. Rapirti in un tempo passato assoluto e mandarti in confusione; hanno una voce che si esprime attraverso gli oggetti, i colori, gli equilibri precari, gli alberi giganti che, curiosi delle storie degli uomini, insinuano le radici sotto i pavimenti; un alfabeto del silenzio che si comprende solo dopo l’attesa.
Occorre prudenza e sensibilità per avvicinarsi al loro mondo; per questo c’è un decalogo, una specie di esercizio. Entrare in confidenza con le case abbandonate e intraprendere un viaggio; scoprire quelle di montagna, del mare, di pianura e le loro differenze. Saperci entrare non da ladro ma da esploratore, fino a intuire quella loro particolare propensione a ritornare terra.
[da La voce delle case abbandonate, Ediciclo]

[Crediti per le immagini: Andre Govia - da qui]

25 pensieri riguardo “Luoghi abbandonati .1: Diventare terra

  1. Vite vissute, segreti, dolori e gioie, ah se questi muri potessero parlare si diceva, fantasmi e ombre, la curiosità di far rivivere storie del passato… Una scritta sul muro, una mattonella spostata, che ci sarà stato messo? Le nostre parleranno quando non ci saremo? Ci importerà?

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    1. Fantasmi e ombre, le mie passioni sin da piccina!
      Le case parlano sempre, anche ora, ma tendiamo a nasconderne le voci sotto il chiacchiericcio della tv.
      Non so se m’importerà delle mie case una volta migrata altrove, in un’altra dimensione. Per ora contano molto, anche quelle passate, e cerco di curarmene come posso.

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    1. Un fascino grandissimo, sì.
      Tu dove sei stato?
      Le conosco solo indirettamente – e consiglio a tutti, immagino tu l’abbia visto,il programma andato in onda lo scorso anno su Rai4 dedicato appunto alle città per vari motivi abbandonate: Ghost Town di Sandro Giordano.

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        1. Niente di eccezionale, un paio di borghi (uno molto famoso) in Nord Italia e uno in Francia. Mi piacerebbe visitarne altri che ho in mente se riuscissi ad andare sull’Appennino, ma bisognerà vedere come evolve la situazione sanitaria. E poi, ovviamente, anche
          il centro storico di Craco.

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  2. Bellissima questa cosa della parola kasas, che in pratica da “tappeto” è passata ad indicare il luogo dove il tappeto viene messo. Mi ricorda quella dell’orientale “diwan”, che è arrivata in Occidente con due significati: divano (mobile dove ci sediamo) e Divano (raccolta poetica) seguendo appunto associazioni di idee “per ampliamento”: l’oggetto su cui ci sediamo ad ascoltare il Divano diventa per estensione il divano, così come ancora oggi diciamo “aprire un tavolo delle trattative” semplicemente perché dove ci riuniamo a trattare… c’è un tavolo 😛
    Tornando alle case, non so se si usi ancora ma da ragazzino mi metteva ansia quando nei vecchi film i personaggi che abbandonavano una casa, magari per passare l’estate altrove, ricoprivano tutti i mobili di lenzuola bianche, così che la casa in pratica si riempisse di fantasmi immobili. Mi ha sempre messo una sottile inquietudine…

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    1. Ottima associazione, quella con diwan!
      A me vien subito in mente karawan, una casa nomade, oggi più banalmente casa mobile che però è casa per modo di dire, tranne che per quegli americani che davvero ci abitano e le piazzano alle estremità delle periferie.
      O sul limitare dei deserti, altro bell’esempio di luogo inabitato ma vivo.

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