Novecento .6: Le altissime torri

Nell’ambito delle mie letture dedicate al Novecento (il mio periodo storico preferito, sinora), avevo calcolato anche di toccare i testi su questa giornata funesta: l’11 settembre 2001.
A tutta prima potrebbe sembrare fuori contesto: tecnicamente si colloca già nel secolo XXI°, eppure è abbastanza evidente quanto il contesto e l’origine degli attentatori e degli attentati stessi siano radicati nel centennio precedente, e quanto questo enorme evento sia subitaneamente diventato uno spartiacque, una faglia storica e sociale dirimente.
C’è stato un avanti Torri, ed ora viviamo nel dopo Torri.
Ciò non significa, tuttavia, che la nostra reazione – in particolare l’intensificazione e massimizzazione della pretesa securitaria, con il suo portato si sorveglianza massiva ed acritica, accompagnata dall’indebolimento o addirittura dalla cassazione di alcuni diritti civili – sia nata lì per lì, d’un colpo, come fatto completamente nuovo.
Come sottolinea (e ripete a iosa: un tic da sociologo) David Lyon nel suo Massima sorveglianza – 2003 -, tali tendenze erano già presenti, anche se con meno chance di esprimersi, nell’epoca in cui “terrorismo” identificava un male reale ma contingente, limitato e neppure tanto vicino né considerato. Soltanto, dagli ultimi mesi del 2001 sono emerse con forza e si sono affermate con sconcertante ed arbitraria rapidità.
Troppa, se del resto sono contrabbandate come uno dei due poli di un’alternativa secca, un aut-aut già violento nella sua perentorietà: la scelta era tra sicurezza e libertà, ci hanno detto, e comprensibilmente i più di noi hanno chiesto più sicurezza (in realtà assai relativa) cedendo per ottenerla una parte insostituibile della propria libertà. E di quella altrui.

Si tratta però di una falsa alternativa.
Se la lotta al terrorismo nega una libertà civile (sì, anche a chi ha compiuto stragi ed attentati), se la castra e se attrezza il potere politico per consentirgli di “prevenire” un danno attraverso la limitazione della libertà di un soggetto prima che questi non solo lo compia, ma anche dimostri di volerlo compiere (cioè concretizza una psico-polizia); tale lotta diventa una pratica terroristica essa stessa.
E’ difficile sfuggire alla cinica conclusione di Frank Furedi, secondo cui “può diventare terrorista chiunque non piaccia”, afferma Lyon; e tutti davvero potremmo senza preavviso trovarci invischiati in situazioni senza via d’uscita – senza aver fatto nulla di sbagliato: solo per averlo lasciato credere, del tutto involontariamente ed inconsapevolmente, ad un logaritmo che si fregia impunito del titolo di “intelligente”.
E quel che vale per il terrorismo, una volta instaurata una prassi priva di limiti, vale anche per la “prevenzione” – coatta – del contagio da Covid19. Per esempio in questo modo. E’ una conseguenza nefasta dell’individualizzazione spinta che le nostre società promuovono: nel bene (per esempio attraverso i benefici commericiali ultra-personalizzati), e nel male (nel modo peggiore, con la perdita e l’erosione del welfare state e lo scarico dei rischi sociali sulla schiena non dello stato, ma del singolo: un sistema non a caso eminentemente americano protestante).
“Nonostante i timori abituali in merito all’invasione della privacy, non è l’intrusione nelle vite private il problema più importante fra quelli correlati alla sorveglianza. Le conseguenze [più pesanti] consistono nella discriminazione e nell’esclusione delle persone che rientrano nelle categorie di cui si sospetta. Essa rafforza le distinzioni e le divisioni sociali, […] rafforza e riproduce le disuguaglianze con tecniche automatizzate”.
Non solo, dunque, la tecnologia in uso nella lotta al terrorismo (biometria, sorveglianza CCTV, ID smart-cards, intercettazioni) è quasi sempre inadeguata allo scopo rispetto alle tecniche tradizionali ed “analogiche” (indagini approfondite, infiltrazioni di agenti sotto copertura).
Non solo riesce ad individuare ed identificare di più e meglio i cittadini che, di fatto, di intenzioni violente non ne hanno.
Ma, anche, viene data per scontata: se mai ci si pongono delle domande in proposito, si tratta solitamente di domande tecniche, di merito (su quale sistema sia più utile ed efficace), e non di legittimità (se i sistemi adottati siano eticamente accettabili e giuridicamente ammissibili).

Dovunque voi siate vi coglierà la morte,
anche se foste su altissime torri.

Sura IV del Corano

Le altissime torri è il titolo italiano di un libro a mezza strada tra l’inchiesta e la biografia multipla, il cui autore – Lawrence Wright – conoscevo per via del suo reportage su Scientology La prigione della fede. Altamente simbolico, allude alle Twin Towers ma, allo stesso tempo, riprende la succitata sura coranica (non un ammonimento guerresco ma piuttosto un richiamo alla creaturalità e finitezza umane, che tendiamo a scordarci).
E’ un reportage post-mortem, abbastanza lento nel suo dispiegarsi ma non privo di curiosità, di rivelazioni atroci; dal fatto che Bin Laden – vero protagonista del testo e degli eventi – aveva progettato, per al-qaeda, non solo i dirottamenti (andati a segno o meno) che già conosciamo, ma anche altri equivalenti sulla costa ovest degli Stati Uniti, al fatto che – riassumo in modo estremo ma preciso – gli attentati erano perfettamente evitabili, e solo l’arroganza umana di alcuni americani ne ha impedito il fallimento.
Può sembrare una semplificazione – la genesi di un atto simile è complessa, e integrare le informazioni disponibili discriminando quelle significative da quelle che non lo sono è un’attività che richiede competenze forti -, eppure in questo caso non c’era un quadro completo ma nebuloso da decifrare: CIA ed FBI disponevano già di un disegno chiaro e “pulito” dalle interferenze, neppure da interpretare ma soltanto da osservare. Non l’hanno fatto per un motivo che fatico persino a scrivere: non hanno condiviso le conoscenze in loro reciproco possesso. Non per impossibilità tecnica, per casualità o per impedimenti normativi, ma per mera testardaggine, presunzione ed orgoglio campanilistico. In due parole, a causa di una lotta intestina, non supportata da alcuna regola reale ma piuttosto da puntiglio ed antipatie radicate – personali e relative ai rapporti fra le due organizzazioni.
Forse questa è una cosa che altri, persino molti altri, hanno realizzato ben prima. Io, in ogni caso, nonostante la mia notoria diffidenza verso le organizzazioni in genere, tanto più se grosse e rilevanti, mi sono fatta cogliere impreparata. La mia ingenuità mi porta a pensare (perché sarebbe giusto che così fosse) che a maggiore importanza e livello di responsabilità debba corrispondere maggiore impegno e serietà, per non dire dedizione. Ahiloro, è un sentimento legittimo ma errato.
E se possibile oggi, per tutti e non soltanto per l’America, va pure peggio.

10 pensieri riguardo “Novecento .6: Le altissime torri

  1. Un pensiero molto interssante. Più la sicurezza aumenta e più diminuisce la libertà. Questo è stato un concetto che già si sapeva da tantissimo tempo ma di cui le persone tendono a dimenticarsi. Non è sbagliato a voler vivere una vita sicura, ma non per questo voglio vivere in un mondo che mi tiene prigioniero e non mi lascia veramente vivere.

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    1. La cosa più triste è che tutti questi sistemi di sorveglianza sono più efficaci per un controllo “interno” su cittadini normali che, di per sé, non avrebbero motivo d’esser sospettati; piuttosto che per individuare terroristi.
      Ho sempre faticato a capire perché i nostri dati personali – raccolti per usi commerciali – dovessero impensierirmi tanto; ma, almeno in America, il fatto è che vengono regolarmente passati agli enti governativi per usi di tutt’altro genere. E per giunta legalmente, perché il PATRIOT Act lo prevedeva (non so se sia ancora in vigore).
      E’ un po’ l’andazzo in molti settori, ormai: basta pensare ai nostrani DPCM, che da straordinari ed irrituali son diventati costanti.
      Se però vai controcorrente, e pure con fatica, passi per quello strano e anti-tecnologico.

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