Desiderio

Di recente ho visto con l’Arrotino quell’oscuro oggetto del desiderio di Buñuel. Come ho scritto in commento al suo post, “nonostante non mi sia piaciuto il tono del film, il finale mi ha fatto sogghignare: l’ho letto come una presa in giro della fame di sesso degli uomini, come il protagonista che per tutto il tempo si lamenta e s’incazza e fa il sostenuto perché lei tergiversa, ma di capire l’antifona e lasciar perdere non è capace”.
Potrei anche essere fuori rotta e non averci capito nulla, beninteso. E’ più difficile comprendere le intenzioni di chi non ci piace. Anyway, il punto è che questo film descrive, mostra un uomo incapace di dar freno ai propri impulsi e di governare il desiderio che prova: legittimo in sé, “naturale” direbbero molti, epperò basso: qualcosa cioè da non mettere alla guida del nostro operato e delle nostre scelte, ma al contrario da sottoporre al filtro della ragione, questa sì adeguata a guidare gli istinti.
Non è il desiderio sessuale il problema, lo è il ritenere che non vada affatto, in nessun caso, censurato – con la sola clausola di non dirigerlo verso persone non consenzienti a metterlo in pratica. Lo è il porlo in posizione privilegiata fra le cose che vanno ad occupare la nostra vita, la nostra mente, e dunque tempi, spazi ed energie disponibili.

Ho ripensato a questo leggendo, negli scorsi giorni, La signora Berta Garlan di Arthur Schnitzler. Oltre allo stile piacevole e scorrevole, ed alla buona capacità di analisi e di resa della psiche dei suoi personaggi (soprattutto femminili, va precisato; e non dimenticato che si tratta di un viennese a cavallo tra ‘800 e ‘900), l’autore offre – ed ho la sensazione che così sia anche nella preponderanza del resto della sua produzione – un affresco di società che ha per perno proprio il desiderio sessuale e le diverse reazioni ad esso, dalla censura castigatrice della morale corrente (non solo borghese) al libertinaggio irresponsabile.
Nello specifico, il romanzo dipinge la figura di Albertina (Berta) quale donna i cui sogni e sentimenti romantici son stati recisi presto dai genitori: i quali le hanno impedito tanto di proseguire il conservatorio e la carriera pianistica, tanto di coronare la storia d’amore con un compagno di studi, divenuto in seguito un affermato violinista. Dopo averlo perso di vista per poco più d’una decina d’anni (un’eternità, all’epoca), rimasta vedova con un figlio piccolo, Berta per uno scherzo del caso torna indirettamente in contatto con i suoi vecchi spàsimi, e li insegue fino ad illudersi che il passato possa tornare e restituirle la vita che non ha avuto.
E fin qui… però, con buona pace del ‘femminismo’ di Schnitzler – il quale pur giustamente si duole, in chiusura, che la libertà o meglio licenza sessuale preveda per l’uomo una silenziosa approvazione mentre per la donna significhi scomunica, disprezzo e il gravame dei figli -, nondimeno Berta appare inevitabilmente come una donna non solo ingenua, inesperta, ma persino sciocca: anziché profittare della svolta, pur dolorosa, che un viaggio dalla provincia alla capitale le riserva per maturare, se ne lascia sviare con estrema facilità.
Nulla le basta più, e se è legittimo che la provincia si riveli poco adatta a lei (ma in fin dei conti questa è la sua impressione, non una realtà), è da persona emotivamente acerba trarne i giudizi di sprezzatura della vita modesta della comunità entro cui il fu marito l’ha condotta, e di autoesaltazione in quanto presunta donna di mondo. Di fatto della vita cittadina, delle prassi facili di una classe sociale cui lei non appartiene più e del vero valore di una vita non repressa, ma neppure infatuata ed infarcita di slanci poetici superficiali, ella non sa nulla. E anche questa m’è parsa una lezione premeditata e ben assestata dall’autore.
Proprio come la Karenina tolstojana, a causa della sua preventiva chiusura morale ed intellettuale alle possibilità del proprio stato di vita “non conoscerà mai la realtà […] usuale e consueta, [che] lungi dall’esser meschina o squallida, è assai preziosa e bella” – così Natalia Ginzburg nell’edizione rinnovata ET Classici del 2016. Ancora: “al di fuori della colpa, lungo le strade di chi ha creato senza nulla distruggere, la felicità fiorisce e germoglia consentendo una più vasta ed intensa comprensione umana”.
Non è quindi incolpevole, Berta: laddove lei conclude il suo arco narrativo amareggiata e disillusa ben oltre il giusto, ed Anna tutto perde e nulla ottiene dal suo afflato per Vronskij; sono in entrambi i casi i personaggi che meno si dibattono e più s’adattano a risultare in ogni senso vincitori: il signor Rupius in Schnitzler, Kitty e Levin in Tolstoij.

3 pensieri riguardo “Desiderio

  1. il desiderio erotico è un accadimento, sempre, di inaspettata potenza; certo è naturale, ma è abbastanza naturale l’umana capacità di procrastinare il piacere per uno scopo; secondo me occorre accettarne la potenza per poter meglio, se è il caso, contenerne gli effetti pratici; c’è da dire che un poco dobbiamo fantasticare, e ridere di noi stessi, se occorre

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    1. E’ sempre meglio affiancare, alla capacità di procrastinare il piacere per uno scopo comunque terreno, la formazione di una capacità morale di orientare il differimento dell’azione.
      Ma detto questo, siamo umani, e uno dei doni migliori che Dio ci ha fatto è saper ridere di noi stessi e delle nostre cadute.

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