Politicamente corretto. 5: Se fa schifo anche a sinistra…

Un solo esempio, un ventaglio di episodi demenziali e deleteri raccolti da un osservatore al di sopra di ogni sospetto – ma non è l’unico.

Ultimamente è scoppiata una grande polemica, in UK, perché una ragazza di lingua spagnola, avendo smarrito il suo cane, aveva messo un annuncio online per chiedere di contattarla nel caso in cui qualcuno lo avesse visto.

Il problema è che il nome del cane della ragazza era “Ne*ro” (senza asterisco, ma altrimenti Facebook mi censura).
In spagnolo, infatti, il colore nero si chiama così.
In pratica, è un po’ come se avesse chiamato il suo cane, che era nero, “Black”.
Ma la cosa non ha convinto moltissimi inglesi che, sui social, hanno seguitato per giorni a dare della “razzista” alla ragazza.
Diversi commenti sotto l’annuncio sostenevano, più o meno, che a questo punto sarebbe giusto cambiare la lingua spagnola e trovare un altro termine per indicare il colore nero.
Sul serio.

L’altroieri, in Missouri, il deputato democratico Emanuel Cleaver, ha concluso la sua preghiera, in apertura dei lavori alla Camera, con un meraviglioso “Amen and Awoman”.
La sua intenzione, a quanto pare, era quella di rispettare la parità di genere, ma evidentemente ignorava che “Amen” non significa “Un uomo” in inglese, ma vuol dire “In verità” in ebraico.

Sempre in Inghilterra, diversi telespettatori sono insorti dopo la messa in onda, da parte della BBC, di Grease.
Secondo molti di loro si tratta di un film sessista, razzista e misogino.
questo perché in “Summer Nights” il coro chiede a John Travolta se Olivia Newton John “ha lottato” quando lui dice di averla baciata, e anche perché nel film non ci sono protagonisti neri.
Il fatto che il musical si ambientasse in una scuola dei primi anni 50 e che i primi tentativi di scoraggiare la segregazione razziale nelle scuole, negli USA, risalgano al triennio 1954/1957 (ma le prime scuole multietniche “tout court” sono successive), evidentemente, non deve essergli particolarmente chiaro.
Come non deve essergli chiaro che una frase attribuita a un personaggio di finzione degli anni 50 non può e non deve rispettare i parametri del pensiero del 2020.
Altrimenti possiamo decidere che Hitler, nei film, d’ora in poi si debba preoccupare di rispettare i diritti degli ebrei e Jack lo squartatore si premuri di ammazzare uomini e donne in egual misura, temendo di essere accusato di essere un serial killer patriarcale.

Potrei andare avanti a lungo, queste sono cose accadute solo negli ultimi giorni.

Ora, probabilmente, se siete qui, sapete come la penso sui diritti civili, sulla parità di genere, sull’assoluta necessità di combattere il razzismo sempre e ovunque, non credo di doverlo ribadire.
Ma questa roba fa male, malissimo, proprio a chi si batte per un mondo di pari opportunità per tutti.

queste derive demenziali del politicamente corretto sono pericolose, visto che non ottengono nessun effetto oltre a quello di togliere credibilità a chi si batte davvero contro le discriminazioni, perché viene associato a queste maledettissime stronzate.

E la destra ha buon gioco a ridicolizzare quelli che, ogni giorno, puntano l’indice contro i numerosissimi episodi di REALE razzismo, di REALE discriminazione, di REALE sessismo, perché questo genere di idiozie finiscono inevitabilmente per screditare anche loro, trascinandoli in un vortice di cazzate politicamente corrette ormai apparentemente senza fondo.

Una volta, come ho già avuto modo di raccontare, un amico mi disse che, secondo lui, il “politicamente corretto” (che negli USA ormai è diventato una sorta di nuovo talebanesimo laico), è stato uno dei motivi principali che hanno provocato la vittoria di Trump alle elezioni del 2016.

Ai tempi mi era sembrata un’esagerazione.
Più passa il tempo, più mi convinco che, in effetti, potrebbe essere dannatamente vero.

EDIT: alcuni mi fanno notare che la polemica su Grease è stata sovradimensionata, in quanto si trattava della protesta di poche persone.
Se preferite, sostituitela con la high school americana che ha appena abolito l’Odissea dal proprio corso di studi, reputandola un testo profondamente maschilista, con l’uomo bianco patriarcale Ulisse che lascia la povera Penelope a casa e se ne va a bighellonare in giro per il mondo.

12 pensieri riguardo “Politicamente corretto. 5: Se fa schifo anche a sinistra…

  1. Buttandola sul ridere, o forse no, meno male che in quella scuola non insegnano l’Odissea, se non hanno insegnanti in grado di spiegare che gli uomini di 3000 anni fa pensavano un po’ diversamente da noi.
    Che poi su cosa abbiano nella testa tanti energumeni statunitensi, oltre alla segatura, si deve riflettere bene.

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  2. Quello di leggere avvenimenti e fatti del passato con le lenti di oggi è un errore purtroppo comune e la cosa sta prendendo una piega davvero disturbante. Se posso aggiungere un esempio, Magic sta cancellando le illustrazioni di molte sue carte perché adesso sono considerate razziste, ma non lo erano quando uscirono più di 20 anni fa.
    Per esempio, questa:
    https://gatherer.wizards.com/pages/card/Details.aspx?multiverseid=11453

    Stiamo arrivando a 1984 di Orwell nel mondo reale, sembra assurdo ma è così. South Park sta parlando da tempo dell’assurdità del politically correct a tutti i costi (col personaggio del PC Principle nelle ultime stagioni), e come sempre se ascoltassimo di più South Park e di meno i politici staremmo tutti meglio! :–)

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      1. Erano dei classici zingari con dei carri e dei cavalli, non era niente di particolarmente offensivo. O meglio, non era considerato offensivo 25, 20, 15, 10 o 5 anni fa. Adesso lo è.

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        1. E non è nemmeno un falso concetto, un pregiudizio: al massimo una semplificazione non troppo aggiornata (ma, per quel poco che ne so, Magic ha un’atmosfera più o meno alla D&d, il che vuol si traduce in ambientazioni e caratteristiche ben poco moderne. Dunque…).

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  3. Esempi se ne potrebbero fare a iosa… Io cerco sempre di distinguere l’opera dall’uomo, innanzitutto (e, quindi, vedo Polanski e non mi scandalizzo se proiettano i film di Leni Riefenstahl); successivamente, appunto, cerco di non rileggere il passato con gli occhi di oggi. Come sai, l’ambito musicale mi è molto caro: a fine Ottocento/inizio novecento negli States uno dei generi popolari più in voga era la coon song, la canzone “razzista” per eccellenza, capace di vendere milioni di spartiti (quelli c’erano!). Ovvio che i testi fanno ribrezzo: ma sarebbe da idioti non riconoscere a questa forma di canzone il merito storico (inoppugnabile) di aver sdoganato presso il pubblico i ritmi e le sincopi rag, e che paradossalmente proprio dalla musica nera traevano origine. Detto questo, poi non so quanto il trumpismo sia conseguenza dell’eccesso di politically correct, o se sia questa una reazione al cattivismo tanto di moda oggi: certo che si tratta di due eccessi, che generano mostri e che raramente ottengono lo scopo per cui sono nati.

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    1. E’ anche bene saper tenere separato il giudizio sulla persona e sull’opera – posto che questo è un discorso non così semplice: la persona influenza l’opera, l’opera spesso discende dai valori della persona che la crea, ecc. Ma qui parliamo di una capacità valutativa ben più rozza di una generalizzazione…
      … la Riefenstahl, peraltro, è stata una regista solo nominalmente nazista, anomala ed esprit libre. Tanto per cambiare, sta in una delle mie listine di cose da vedere / leggere / ascoltare 😉

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  4. A proposito di (mancata) contestualizzazione, prendo dalla newsletter di Pungentemente (lo trovate su WordPress) e rilancio:

    Il Grande Fratello esiste: si chiama “Prevent”

    Il futuro distopico immaginato in «1984» da Orwell è diventato una realtà nel Regno Unito. Un programma ministeriale invita a denunciare chiunque sia sospettabile di radicalismo (guarda caso, solo di destra). Così, però, si rischia di punire le opinioni

    di ALDO MARIA VALLI

    Signore e signori, lo psicoreato, previsto da George Orwell nel suo romanzo distopico 1984, sta diventando realtà. Orwell immagina che il thoughtcrime (crimethink nella neolingua) sia il reato che consente di ap­plicare lo strumento repressi­vo per eccellenza nel sistema totalitario descritto nel libro. In 1984 commette infatti psi­coreato chiunque osi anche so­lo pensare qualcosa che non sia in linea con le teorie del Grande Fratello. A tal scopo il Partito ha istituito un apposi­to reparto di controllo e re­pressione, la Psicopolizia. In genere, lo psico-reato è segnala­to alla Psicopolizia dagli onni­presenti teleschermi, ma si può anche essere scoperti di­rettamente da un agente della Psicopolizia in incognito op­pure essere traditi da colleghi, amici e perfino parenti.

    Ebbene, oggi, nella realtà, la polizia britannica ha lanciato un programma, già operativo, per denunciare persone (an­che conoscenti, amici e paren­ti) colpevoli di «visioni estre­miste», così che possano esse­re opportunamente rieducate. Il programma si chiama Prevent e viene presentato così: «Può essere diffìcile sapere che fare se sei preoccupato che qualcuno vicino a te stia espri­mendo opinioni estremiste o odio estremo, qualcosa che po­trebbe portare queste persone a danneggiare loro stesse e gli altri». Pertanto, ecco che «la polizia protegge le persone vulnerabili dallo sfruttamento da parte degli estremisti». Lo fa, mediante Prevent, pro­gramma del ministero degli Interni, dove si possono legge­re esortazioni di questo ti­po: «Agisci presto e comunica­ci le tue preoccupazioni in confidenza. Non sprecherai il nostro tempo e non rovinerai vite, ma potresti salvarle». Non troppo diversamente dal­la Psicopolizia orwelliana, Prevent «aiuta» le persone che coltivano idee strane. Per di­mostrarlo, il sito propone al­cune storie che descrivono in­terventi di correzione di citta­dini «affetti» da visioni vaga­mente definite di «estrema de­stra» e da altre caratterizzate da estremismo islamico. Cu­riosamente, non è descritto un

    solo caso di persone «affetta» da idee di estrema sinistra.

    La prima storia parla di uno studente di nome John che «ha iniziato a condividere post di estrema destra sui social me­dia e a partecipare a manife­stazioni». Proprio «dopo aver invitato un insegnante a una manifestazione estremista, John è stato indirizzato al pro­gramma Prevent dal suo colle­ge». Con un opportuno tratta­mento da parte di un provider, John ha recuperato «fiducia in se stesso» e così «si è reso con­to che voleva apportare alcuni cambiamenti nella sua vita». Fino al lieto fine: «Con questo aiuto e supporto, il giovane è stato in grado di allontanarsi dall’estremismo».

    Il sito è prodigo di consigli. Uno, in particolare: «Agisci presto e comunicaci le tue preoccupazioni in confiden­za». In poche parole, diventa un delatore della Psicopolizia.

    «Il nostro approccio – spiegano gli specialisti di Prevent – ini­zia con la comprensione che le persone sono vittime della ra-dicalizzazione; non li conside­riamo sospetti o criminali». Certo che no. Sta di fatto che «prima ci comunichi le tue preoccupazioni, prima pos­siamo ottenere dalla persona a cui tieni l’aiuto di cui ha biso­gno». «Ricevere sostegno è vo­lontario» e dunque, «abbiamo bisogno del permesso della persona per aiutarla». Bontà loro. Resta il fatto che, «a se­conda della situazione, possia­mo contattare altre organizza­zioni con cui lavoriamo per mettere in atto il giusto sup­porto. Ad esempio, potrebbe trattarsi del supporto di un medico, di una scuola o di un gruppo della comunità locale o di mentori specializzati, noti come fornitori di interventi». Nato come strumento per contrastare i casi di radicalizzazione islamica e combattere il terrorismo, Prevent si presta a un uso allargato, così da giu­stificare l’intervento contro tutti i comportamenti ritenuti genericamente devianti. Per capire il rischio di totalitari­smo insito nel programma ba­sta leggere qui: «Più importan­te di qualsiasi segno specifico è la sensazione che qualcosa non vada bene nella persona per la quale sei preoccupato. Potresti individuare un segno o una combinazione di segni che stanno aumentando di in­tensità. A volte possono essere indicatori di altri problemi o sfide sottostanti che non sono collegati alla radicalizzazione. Se sei preoccupato, fìdati del tuo istinto e contatta noi o una delle organizzazioni elencate sul sito per un consiglio».

    Capite che se basta una «sensazione» per giustificare un intervento la faccenda si fa inquietante. Quali sono i «segni» che dovrebbero preoccu­pare? Prima di tutto, «trascor­rere sempre più tempo online e condividere opinioni estre­me sui social media». Occorre ricordare che i devianti «ope­rano sempre più online per prendere di mira e influenzare le persone vulnerabili tramite giochi online e piattaforme di social media. In un primo mo­mento, possono utilizzare pa­gine o siti dall’aspetto inno­cuo, che non sono in alcun mo­do estremi. Quindi cercheran­no di invitare la persona in un gruppo chiuso in cui vengono espresse opinioni estremiste. Lo fanno per far sentire la per­sona speciale o parte di un gruppo selezionato». Occhio, magari il sospetto frequenta siti normalissimi, ma mai sot­tovalutare il pericolo: l’estre­mista può essere ovunque !

    La materia è quanto mai sci­volosa e i criteri sono così va­ghi che, di fatto, ogni comportamento può essere letto come pericoloso. Si dice anche di stare in guardia quando le per­sone vivono «un conflitto o un trauma significativo a un certo punto della loro vita, come un lutto o una rottura di una rela­zione con un partner, con ami­ci o familiari». Ma anche «una transizione importante, come trasferirsi all’università e cambiare o perdere il lavoro», può diventare pericolosa. Dunque, se il tuo amico s’è la­sciato con la fidanzata, o ha de­ciso di cambiare facoltà, stai in guardia: forse sta diventando un pericolo pubblico! Certo, «la maggior parte delle perso­ne trova il modo di affrontare le sfide della vita e non si trove­rà coinvolta nell’estremismo», tuttavia «alcuni potrebbero ri­volgersi a nuovi modi di com­portarsi e pensare». L’ironia involontaria farebbe sorridere se non sfociasse in esiti dall’i­nequivocabile sapore orwel-liano. «Come puoi aiutare?» chiede il sito di Prevent. Ebbe­ne, «la famiglia e gli amici san­no quando qualcosa non va be­ne». Quindi «puoi individuare un comportamento preoccu­pante in una fase iniziale e aiu­tare la persona a cui tieni a ot­tenere il supporto di cui po­trebbe aver bisogno per allon­tanarsi dall’estremismo».

    Ricordiamo che nel Regno Unito c’è una discussione in corso sulla possibilità di per­seguire le persone per «crimi­ni d’odio» sulla base di ciò di cui discutono nelle loro case, infrangendo così il principio della privacy. Fino al 1986 il reato relativo all’uso di parole o comportamenti suscettibili di incitare all’odio, soprattutto razziale, poteva essere com­messo solo in un luogo pubbli­co. L’ambito, successivamente ampliato, escludeva comun­que l’abitazione privata, ma ora si discute dell’ipotesi di po­ter incriminare un cittadino anche per cose dette a tavola, in famiglia. Evidenti i rischi. E tante le domande. Se la propo­sta passasse, una persona che in casa sua legge, poniamo, il Mein Kampf per motivi di stu­dio, o anche solo per curiosità, potrebbe essere denunciata per uso di materiale estremi­sta che fomenta l’odio?

    Benvenuti nel mondo del Grande Fratello. Non è 1984, è 2020, ma il succo è quello. Se non è psico-reato, ci siamo mol­to vicini.

    [Tratto da: La Verità Martedi 29 dicembre 2020]

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