Diario di lettura .1: Tutto bene, ma anche no

Parlavo di libri leggeri, in un precedente post. Due di questi, appena terminati, sono a fumetti: Andrà tutto bene di Ortolani (carino, raccoglie tutte le strisce quarantenali, aha, pubblicate sul suo sito al ritmo d’una al giorno ed è in un pratico formato cubico: si può riutilizzare come sottopentola oppure come oggetto contudente contro gli invasori della quiete domestica); quaderni giapponesi di Igort (sorta di sintetico compedio dei suoi anni nel Sol Levante e di ciò che vi ha visto: un po’ banalotto e privo di un preciso fine, a mio avviso). A proposito di Giappone, avevo prenotato anche un altro libro – questo ben più valido e bello:

Il paese più stupido del mondo, di Claudio Giunta

Per essere edito dal Mulino, è atipico: non meno scrupoloso ed accurato, anzi, ma molto, molto ironico. Non solo: battute, punzecchiature e soprattutto considerazioni cinico-brillanti abbondano, ed hanno anche una tempistica ed un ritmo perfetti. Potrebbe essere un cabaret, invece è un resoconto di viaggio (blandamente lavorativo, molto svagato) d’un docente di Letteratura – specialista di medievale – che smonta con scioltezza e levità la mitologia dell’Oriente spiritualmente profondo, superiore ed ammirabile; nella quale si è speso – suo bersaglio principe – un “grosso” come Roland Barthes.
Claudio Giunta collabora regolarmente con Sole 24 Ore ed Internazionale.
C’è da scommettere che sia sempre pungente ed affilato anche lì, se persino sotto la foto della sua biografia sul sito la didascalia recita: L’Autore prende la penna per dire la sua alla mostra della Barbie (Milano, dicembre 2015).

Photo by David Dibert on Pexels.com

Di tutt’altro stampo – sintetico seppur esauriente, preciso, meno direttamente partecipato – è Il grande carrello. Chi decide cosa mangiamo di Fabio Ciconte e Stefano Liberti, che in esso raggruppano le conclusioni e tirano le fila di una serie di inchieste sulla grande distribuzione organizzata, la filiera agro-alimentare ed i consumi italiani.
Fabio Ciconte è direttore dell’associazione ambientalista Terra! e portavoce della campagna Filiera Sporca, contro il caporalato e lo sfruttamento del lavoro in agricoltura, di cui ha curato i rapporti di ricerca. Impegnato da anni in battaglie ambientali e sociali, ha realizzato diverse inchieste giornalistiche sulle filiere agroalimentari per “Internazionale” e redatto pubblicazioni e studi per enti pubblici e privati.
Stefano Liberti, giornalista e regista, pubblica da anni reportage di politica internazionale su diversi periodici italiani e stranieri. Per minimum fax ha scritto A Sud di Lampedusa. Cinque anni di viaggi sulle rotte dei migranti (2008, Premio Indro Montanelli), Land grabbing. Come il mercato delle terre crea il nuovo colonialismo (2011, tradotto in più di dieci paesi) e I signori del cibo. Viaggio nell’industria alimentare che sta distruggendo il pianeta (2016).
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In seguito ho virato verso una landa meno realistica, ma altrettanto concreta: quella del gioco di ruolo. Again. Assai dubbiosa al principio, dacché il gioco mi ha dato moltissimo in termini intellettuali ma anche mi ha danneggiato moltissimo in termini umani; alla fine ho prenotato e sto leggendo La stanza profonda di Vanni Santoni.
Nostalgia, riconoscimento e senso di appartenenza, repulsione sono i sentimenti prevalenti che si alternano ed intersecano dentro di me. Se è vero come credo che ho avuto il miglior Master in circolazione a Brescia, e che proprio dal nostro party ho imparato quanto inquinato sia questo mondo; non tornerò mai indietro.

Se ti capita di dover tornare, hai bisogno di un’Itaca, non di una Mordor… (cit.)

Piccola curiosità: ho ritrovato fra le pagine Stratagemma, del cui proprietario leggevo un guest-post sul blog di Lucius poco tempo fa:

Passando dai mostri di fantasia a mostri reali, ho cominciato in contemporanea la lettura di una ricostruzione (in fumetto anche questa) della vicenda del traghetto Moby Prince, scontratosi nell’aprile 1991 con la superpetroliera Agip Abruzzo quando ancora si trovava nella zona portuale di Livorno (diretto a Olbia).
Preferisco le ricostruzioni narrate – magari con materiali di vario tipo in appendice – ma devo dire che la storia, qui, è ben presentata.
Becco Giallo l’ha pubblicato sotto licenza Creative Commons nella sua collana Cronaca Storica. Il bianco e nero penso si adatti in ogni caso meglio al genere.

Il pallino della Moby Prince mi è stato passato, per contagio, dal mio ex ch’è appassionato di storia. Io l’avevo sentito nominare, ma nulla più: quand’è accaduto il (colpevole) disastro, avevo 7 anni e, si sa, la cronaca non si ferma mai, e di questi tempi manca anche un bilancino che determini correttamente il peso specifico di ciascun fatto.
Dipanare avvenimenti complessi e – volutamente – contorti dalla volontà di insabbiare colpe ed intenzioni, farlo restando calati nella storia e non solo ipoteticamente, astraendosene come in un romanzo, è fra le sfide più difficili che si possano incontrare.
Onore al merito.

17 pensieri riguardo “Diario di lettura .1: Tutto bene, ma anche no

  1. Mi dispiace tu abbia avuto una brutta esperienza col gioco di ruolo. La stanza profonda l’ho letto anche io e come libro non mi è piaciuto particolarmente, però mi ha rievocato una parte importante della vita a cui guardo sempre con grande nostalgia. :–)

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    1. Eh già 😍
      Lo spirito è proprio quello, di una rievocazione / celebrazione / e infine direi persino “evangelizzazione”… se non un passaggio di testimone a generazioni più giovani, sicuramente un modo per eternare il senso vitale (e non di fuga dalla realtà) del gioco 🙂

      Sicuramente la mia esperienza ha avuto lati fortemente negativi, per lo più legati all’aspetto umano e alle singole persone che partecipavano, in minor parte dovuti alla natura stessa di certe ambientazioni (giocavo quasi soltanto a Vampiri la Masquerade).
      Però il gioco in sé, che sta prima ancora dei vari Gygax e compagnia (ma pure prima di Jacob Levi Moreno, per dire: che mi aspettavo citato nella storia compilata da chi, il Silli?, e invece non è arrivato), il gioco quello dei bambini che “facciamo che io sono” – anche se ovviamente più strutturato -, è molto di più, va molto oltre; non c’è possibilità che quel nucleo di bellezza venga mai intaccato per me ❤

      Comunque, tornando al libro… come t'è parso il finale?
      A me ha fatto una bella impressione, m'è piaciuto che sia tanto amarognolo quanto sereno. Devo dire che ero convintissima che i quattro poliziotti fossero il Donda, quello pescato al parco a multare i bambini, e dei colleghi coaptati per l’occasione… ma forse sarebbe stato troppo un cliché.

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      1. Ti dirò, non è che abbia un ricordo così chiaro del finale, ma il libro tutto non mi ha colpito particolarmente se non per i riferimenti ai giochi di ruolo, forse anche perché quelle sono le parti che ho letto con più attenzione…!

        E si, il gioco di ruolo lo facciamo sin da piccoli effettivamente! Comunque anche io ho avuto esperienze negative, ma in generale credo che giocare di ruolo mi abbia aiutato a crescere, a capire come comportarsi in gruppo, a capire come (non) risolvere conflitti…

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  2. Mi hai messo voglia di leggere il libro di Giunta.
    Conosco bene l’autore, praticamente mio coetaneo, fin da quando io ero un dottorando medievista sfigato mentre lui era un normalista che pubblicava già libri per il Mulino. Ovviamente io ho continuato a rimanere uno sfigato e ho abbandonato le velleità universitarie, mentre lui, per fortuna, ha continuato la carriera universitaria.
    Mi piacerebbe leggere il suo recente libro su Tommaso Labranca, penso che prossimamente lo richiederò dal mio libraio di fiducia.

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    1. È sempre bello quando si riesce ad invogliare un altro lettore 🙂
      Del resto come appunto dici tu già conosci l’autore.
      Della Normale di Pisa ho sentito da sempre parlare – o meglio l’ho sentita citare in termini di paragone eccellenti – ma di fatto non posso dire di conoscerne lo spirito e i “prodotti”. Per fortuna in questo Giunta è anche (auto) ironico.

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  3. I giochi di ruolo sono come la tv. Se son fatti bene ne vale la pena, altrimenti può venir fuori il peggio del peggio. Anche io ho fatto il Master qualche volta, in quel gioco che si ispira ai miti di Chulu (o come cacchio si scrive, tu hai capito). 🙂

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