Childfree .9: Cicli e ricicli

Non si scandalizzino i lettori maschietti, ma devo dirlo: ho il ciclo. Succede, dicono, una volta al mese a tutte le donne, nessuna esclusa.
E per l’ennesima volta ho desiderato la menopausa: diversa per ciascuna e non certo una passeggiata, ma potendola “attivare” a piacere, in età precoce, sopportati alcuni anni di scalmane (o caldane che dir si voglia) e irritabilità del tutto simile a quella attuale, sono certa che moltissime donne la sceglierebbero.
Del resto, come sapete, non voglio figli; e levarmi di torno la fertilità costituirebbe un vantaggio ulteriore. Mi sta benissimo sua sorella, fecondità.

Sognare, fantasticare è lecito, credo.
Meno lecito è dimenticare, o fingere di dimenticare, che del nostro corpo – anche di ciò che il nostro corpo fa per natura e non abbiamo scelto – abbiamo la responsabilità; precisa, costante ed ineliminabile.
Perciò se non voglio un figlio e non sono in menopausa – o comunque in una condizione che mi consenta di non averne conseguenze – non posso ignorare che, in caso di sesso consensuale anche protetto (cioè nella stragrande maggioranza dei casi in cui accade) se sono incinta – non “rimango”, non “vengo messa”, ma “sono” incinta – la scelta è stata mia. Punto.

Pretendere l’aborto libero (tale è: non si tratta né di un diritto a prescindere, né di una misura a cui si ricorre in casi estremi e d’emergenza, ma per lo più il contrario), e se qualcuno obietta – mettendoci davanti non tanto o soltanto alla verità su quanto pretendiamo, ma anche e soprattutto alla responsabilità di cui vorremmo evitare di farci carico – metterlo a tacere forzatamente, caricarlo di ingiurie e di merda (metaforica e non: a un banchetto di ProVita è toccato il letame, e non esito a definirlo un simbolo di ciò che per questi presunti difensori dei diritti la vita rappresenta)… tutto questo è un disperato tentativo di liberarsi dalle proprie responsabilità.
Solo che quando si ricorre all’aborto non si sta compiendo una mera fantasticheria di togliersi il disturbo del ciclo mensile, o anche di evitare il concepimento a monte: si sta concretamente uccidendo una vita che concepita lo è già, presente lo è già.
Non volere figli è una scelta legittima, ma sta in capo alle potenziali madri: non può essere scaricata addosso a una creatura alla cui esistenza noi stesse abbiamo consentito e contribuito.

21 pensieri riguardo “Childfree .9: Cicli e ricicli

  1. Mi piace questo articolo, breve ma incisivo; concetti forti espressi con la durezza della logica del pensiero, con un tono lessicale dal ponderato grado di durezza.
    (L’unica su cui non concordo è “Non volere figli è una scelta legittima”; ma rispetto le scelte altrui.)
    Mi sia concessa una cattiveria, più che una battuta, all’indirizzo di certa parte dell’umanità -buona parte, visto il buon grado di misantropia che mi affligge- dato che sono contrario in modo assoluto all’aborto, a tantissimi dico: “era meglio se tua mamma quella sera si addormentava…” .
    Una buona serata.

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    1. Su alcune cose ho maturato un pensiero abbastanza a lungo da superare la fase in cui mi occorre articolare per benino, per cui ormai risulta così sfrondato e “pulito” da sembrare spoglio. E’ diventato uno dei pochi pensieri sobri che ho, come piace a me.
      Buon pomeriggio.

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  2. Mi sia concessa una citazione attualissima di Pier Paolo Pasolini:
    “Ora, tutti … tutti, dico, quando parlano dell’aborto, omettono di parlare di ciò che logicamente lo precede, cioè il coito.”
    (Per approfondire meglio googolare “Il coito, l’aborto, la falsa tolleranza del potere, il conformismo dei progressisti”; oppure (ri)leggere “Scritti corsari”).

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    1. “Io sono per gl’otto referendum del partito radicale, e sarei disposto ad una campagna anche immediata in loro favore. Condivido col partito radicale l’ansia della ratificazione, l’ansia cioè del dar corpo formale a realtà esistenti: che è il primo principio della democrazia.
      Sono però traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano – cosa comune a tutti gl’uomini – io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente. Mi limito a dir questo, perché, a proposito dell’aborto, ho cose più urgenti da dire.
      Che la vita è sacra è ovvio: è un principio più forte ancora che ogni principio della democrazia, ed è inutile ripeterlo. La prima cosa che vorrei invece dire è questa: a proposito dell’aborto, è il primo, e l’unico, caso in cui i radicali e tutti gl’abortisti democratici più puri e rigorosi, si appellano alla Realpolitik e quindi ricorrono alla prevaricazione “cinica” dei dati di fatto e del buon senso. Se essi si sono posti sempre, anzitutto, e magari idealmente (com’è giusto), il problema di quali siano i “principi reali” da difendere, questa volta non l’hanno fatto. Ora, come essi sanno bene, non c’è un solo caso in cui i “principi reali” coincidano con quelli che la maggioranza considera propri diritti. Nel contesto democratico, si lotta, certo per la maggioranza, ossia per l’intero consorzio civile, ma si trova che la maggioranza, nella sua santità, ha sempre torto: perché il suo conformismo è sempre, per propria natura, brutalmente repressivo. Perché io considero non “reali” i principi su cui i radicali ed in genere i progressisti (conformisticamente) fondano la loro lotta per la legalizzazione dell’aborto? Per una serie caotica, tumultuosa e emozionante di ragioni. Io so intanto, come ho detto, che la maggioranza è già tutta, potenzialmente, per la legalizzazione dell’aborto (anche se magari nel caso di un nuovo referendum molti voterebbero contro, e la “vittoria” radicale sarebbe meno clamorosa). L’aborto legalizzato è infatti – su questo non c’è dubbio – una enorme comodità per la maggioranza. Soprattutto perché renderebbe ancora più facile il coito – l’accoppiamento eterosessuale – a cui non ci sarebbero più praticamente ostacoli.
      Ma questa libertà del coito della “coppia” così com’è concepita dalla “maggioranza” – questa meravigliosa permissività nei suoi riguardi – da chi è stata tacitamente voluta, tacitamente promulgata e tacitamente fatta entrare, in modo ormai irreversibile, nelle abitudini? Dal potere dei consumi, dal nuovo fascismo. Esso si è impadronito delle esigenze di libertà, diciamo così, liberali e progressiste e, facendole sue, ha cambiato la loro natura. Oggi la libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un’ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore. Insomma, la falsa liberalizzazione del benessere, ha creato una altrettanto e forse più insana che quella dei tempi della povertà. Infatti: primo risultato di una libertà sessuale “regalata” dal potere è una vera e propria generale nevrosi. La facilità ha creato l’ossessione; perché è una facilità “indotta” e imposta, derivante dal fatto che la tolleranza del potere riguarda unicamente l’esigenza sessuale espressa dal conformismo della maggioranza. Protegge unicamente la coppia (non solo, naturalmente, matrimoniale): e la coppia ha finito dunque col diventare una condizione parossistica, anziché diventare segno di libertà e felicità (com’era nelle speranze democratiche).
      Secondo: tutto ciò che sessualmente è “diverso” è invece ignorato e respinto. Con una violenza pari solo a quella nazista dei lager (nessuno ricorda mai, naturalmente, che i sessualmente “diversi” sono finiti là dentro). E’ vero; a parole, il nuovo potere estende la sua tolleranza anche alle minoranze. Non è magari da escludersi che, prima o poi, se ne parli pubblicamente. Del resto le élites sono molto più tolleranti verso le minoranze sessuali che un tempo e certo sinceramente (anche perché ciò gratifica le loro coscienze). In compenso l’enorme maggioranza (la massa: cinquanta milioni di italiani) è divenuta di una intolleranza così rozza, violenta e infame, come non è certo mai successo nella storia italiana. Si è avuto in questi anni, antropologicamente, un enorme fenomeno di abiura: il popolo italiano, insieme alla povertà, non vuole neanche più ricordare la sua “reale” tolleranza: esso, cioè, non vuole più ricordare i due fenomeni che hanno caratterizzato l’intera sua storia. Quella storia che il nuovo potere vuole finita per sempre. E’ questa stessa massa (pronta al ricatto, al pestaggio, al linciaggio delle minoranze) che, per decisione del potere, sta ormai passando sopra la vecchia convenzione clerico-fascista ed è disposta ad accettare la legalizzazione dell’aborto e quindi l’abolizione di ogni ostacolo nel rapporto della coppia consacrata. Ora tutti, dai radicali a Fanfani (che stavolta, precedendo abilmente Andreotti, sta gettando le basi di una sia pur prudentissima abiura teologica, in barba al Vaticano), tutti, dico, quando parlano dell’aborto, omettono di parlare di ciò che logicamente lo precede, cioè il coito.
      Omissione estremamente significativa. Il coito – con tutta la permissività del mondo – continua a restare tabù, è chiaro. Ma per quanto riguarda i radicali la cosa non si spiega certamente col tabù: essa indica invece l’omissione di un sincero, rigoroso e completo esame politico. Infatti il coito è politico. Dunque non si può parlare politicamente in concreto dell’aborto, senza considerare come politico il coito. Non si possono vedere i segni di una condizione sociale e politica nell’aborto (o nella nascita di nuovi figli) senza vedere gli stessi segni anche nel loro immediato precedente, anzi, nella sua “causa”, nel coito. Ora il coito di oggi sta diventando, politicamente, molto diverso da quello di ieri. Il contesto politico di oggi è già quello della tolleranza (e quindi il coito un obbligo sociale) mentre il contesto politico di ieri era la repressività (e quindi il coito, al di fuori del matrimonio era scandalo). Ecco dunque un primo errore di Realpolitik, di compromesso col buon senso, che io ravviso nell’azione dei radicali e dei progressisti nella loro lotta per la legalizzazione dell’aborto. Essi isolano il problema dell’aborto, coi suoi specifici dati di fatto, e perciò ne danno un’ottica deformata: quella che fa loro comodo (in buona fede, su questo sarebbe folle discutere).
      Il secondo errore, più grave, è il seguente. I radicali e gli altri progressisti che si battono in prima fila per la legalizzazione dell’aborto – dopo averlo isolato dal coito – lo immettono in una problematica strettamente contingente (nella fattispecie, italiana), e, addirittura, interlocutoria. Lo riducono a un caso di pura praticità, da affrontare appunto con spirito pratico. Ma ciò (come essi sanno bene) è sempre colpevole. Il contesto in cui bisogna inserire il problema dell’aborto è ben più ampio e va ben oltre l’ideologia dei partiti (che distruggerebbero se stessi se l’accettassero: cfr. Breviario di ecologia di Alfredo Todisco).
      Il contesto in cui va inserito l’aborto è quello appunto ecologico: è la tragedia demografica, che, in un orizzonte ecologico, si presenta come la più grave minaccia alla sopravvivenza dell’umanità. In tale contesto la figura – etica e legale – dell’aborto cambia forma e natura: e, in un certo senso, può anche esserne gratificata una forma di legalizzazione. Se i legislatori non arrivassero sempre in ritardo, e non fossero cupamente sordi all’immaginazione per restare fedeli al loro buon senso e alla propria astrazione pragmatica, potrebbero risolvere tutto rubricando il reato dell’aborto in quello più vasto dell’eutanasia, privilegiandolo di una particolare serie di “attenuanti” di carattere appunto ecologico. Non per questo cesserebbe di essere formalmente un reato e di apparire tale alla coscienza. Ed è questo il principio che i miei amici radicali dovrebbero difendere, anzicché buttarsi (con onestà donchisciottesca) in un pasticcio, estremamente sensato ma alquanto pietistico, di ragazze madri o di femministe angosciate in realtà da “altro” (e di più grave e serio).
      Qual’è il quadro, in realtà, in cui la nuova figura del reato di eutanasia, dovrebbe iscriversi? Eccolo: un tempo la coppia era benedetta, oggi è maledetta. La convenzione e i giornalisti imbecilli continuano a intenerirsi sulla “coppietta” (in tal modo, abominevolmente, la chiamano), non accorgendosi che si tratta di un piccolo patto criminale. E così i matrimoni: un tempo essi erano feste, e la stessa loro istituzionalità – così stupida e sinistra – era meno forte del fatto che lì istituiva, un fatto, appunto, felice, festoso. Ora invece i matrimoni sembrano tutti dei grigi e affettati riti funebri. La ragione di queste cose terribili che dico è chiara: un tempo la “specie” doveva lottare per sopravvivere, quindi le nascite “dovevano” superare le morti. Quindi ogni figlio che un tempo nasceva, essendo garanzia di vita, era benedetto: ogni figlio che invece nasce oggi, è un contributo all’autodistruzione dell’umanità, e quindi è maledetto. Siamo così giunti al paradosso che ciò che si diceva contronatura è naturale, e ciò che si diceva naturale è contronatura. Ricordo che De Marsico (collaboratore del Codice Rocco) in una brillante arringa in difesa di un mio film, ha dato del “porco” a Braibanti dichiarando inammissibile il rapporto omosessuale in quanto inutile alla sopravvivenza della specie: ora, egli, per essere coerente, dovrebbe, in realtà, affermare il contrario: sarebbe il rapporto eterosessuale a configurarsi come un pericolo per la specie, mentre quello omosessuale ne rappresenta una sicurezza.
      In conclusione: prima dell’universo del parto e dell’aborto c’è l’universo del coito: ed è l’universo del coito a formare e condizionare l’universo del parto e dell’aborto. Chi si occupa politicamente dell’universo del parto e dell’aborto non può considerare ontologico l’universo del coito – e non metterlo dunque in discussione – se non a patto di essere qualunquistico e meschinamente realistico. Ho già abbozzato come si configura oggi in Italia l’universo del coito, ma voglio, per concludere, riassumerlo. Tale universo include una maggioranza totalmente passiva e nel tempo stesso violenta, che considera intoccabili tutte le sue istituzioni, scritte e non scritte. Il suo fondo è tutt’ora clerico-fascista con tutti gl’annessi luoghi comuni. L’idea dell’assoluto privilegio della normalità è tanto naturale quanto volgare e addirittura criminale. Tutto vi è precostituito e conformistico, e si configura come un “diritto”: anche ciò che si oppone a tale “diritto” (compresa la tragicità e il mistero impliciti nell’atto sessuale) viene assunto conformisticamente. Per inerzia la guida di tutta questa violenza maggioritaria è ancora la Chiesa cattolica. Anche nelle sue punte progressiste e avanzate (si legga il capitoletto, atroce, a pag. 323 de La Chiesa e la sessualità del progressista e avanzato S.H. Pfurtner).
      Senonché… senonché nell’ultimo decennio è intervenuta la civiltà dei consumi, cioé un nuovo potere falsamente tollerante che ha rilanciato in scala enorme la “coppia” privilegiandola di tutti i diritti del suo conformismo. A tale potere non interessa però una coppia creatrice di prole (proletaria), ma una coppia consumatrice (piccolo borghese): in pectore, esso ha già l’idea della legalizzazione dell’aborto (come aveva già l’idea della ratificazione del divorzio). Non mi risulta che gli abortisti, in relazione al problema dell’aborto, abbiano messo in discussione tutto questo. Mi risulta invece che essi, in relazione all’aborto, tacciano del coito, e ne accettino dunque – per Realpolitik, ripeto, in un silenzio dunque diplomatico e dunque colpevole – la sua totale istituzionalità, irremovibile e “naturale”. La mia opinione estremamente ragionevole invece è questa: anzicché lottare contro la società che condanna l’aborto repressivamente, sul piano dell’aborto, bisogna lottare contro tale società sul piano della causa dell’aborto, cioé sul piano del coito. Si tratta – è chiaro – di due lotte “ritardate” : ma almeno quella sul “piano del coito” ha il merito, oltre che di una maggiore logicità e di un maggiore rigore, anche quello di un’infinitamente maggiore potenzialità di implicazioni. C’è da lottare, prima di tutto contro la falsa tolleranza del nuovo potere totalitario dei consumi, distinguendosene con tutta l’indignazione del caso; poi c’è da imporre alla retroguardia, ancora clerico-fascista, di tale potere, tutta una serie di liberalizzazioni “reali” riguardanti appunto il coito (e dunque i suoi effetti): anticoncezionali, pillole, tecniche amatorie diverse, una moderna moralità dell’onore sessuale etc.. Basterebbe che tutto ciò fosse democraticamente diffuso dalla stampa e soprattutto dalla televisione, e il problema dell’aborto verrebbe in sostanza vanificato, pur restando, come deve essere, una colpa, e quindi un problema della coscienza.
      Tutto ciò è utopistico? E’ folle pensare che una “autorità” compaia al video reclamizzando “diverse” tecniche amatorie? Ebbene, non sono certo gl’uomini con cui io qui polemizzo che debbono spaventarsi di questa difficoltà. Per quanto io ne so, per essi ciò che conta è il rigore del principio di democratico, non il dato di fatto (com’è invece brutalmente, per qualsiasi partito politico). Infine molti – privi della virile e razionale capacità di comprensione – accuseranno questo mio intervento di essere personale, particolare, minoritario. Ebbene?”

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  3. Ehm… come la penso io, se non ricordo male, l’ho scritto in un trafiletto sulla colonna di destra del mio blog. Non si può dire a prescindere che l’aborto sia sbagliato, per come la vedo io. Non sarebbe meglio fare abortire (subito) quelle madri degeneri che non desidererebbero rimanere incinte che poi seppelliscono vivo il nascituro?
    Non sarebbe meglio fare abortire seguendo un percorso (più o meno verificato) piuttosto che lasciare che le donne si affidino a “macellai” che promettono di farti abortire utilizzando una semplice stampella?
    Il fatto è che cancellare l’aborto voluto dallo Stato NON cancellerebbe mai il desiderio di aborto di qualcuno, e quello che ne seguirebbe comunque, ovvero pratiche più o meno ortodosse per provocarlo da parte di non professionisti del settore, santoni, mascalzoni vari.

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    1. Non sarebbe meglio fare abortire (subito) quelle madri degeneri che non desidererebbero rimanere incinte che poi seppelliscono vivo il nascituro?
      No, prima di tutto perché che siano madri degeneri non è cosa che si possa prevedere, e perché questa loro incapacità può ancora e sempre mutare per mille circostanze differenti in una prospettiva più accogliente.
      Poi perché un errore è un errore sempre, anche quando in teoria evita un altro male.

      Non sarebbe meglio fare abortire seguendo un percorso (più o meno verificato) piuttosto che lasciare che le donne si affidino a “macellai” che promettono di farti abortire utilizzando una semplice stampella?
      No, questa è una delle scuse maggiormente spinte dagli abortisti come motivazione umanitaria alla legalizzazione dell’aborto… ma la realtà è che al tempo i numeri di questo fenomeno furono gonfiati oltremodo. Oggi risulterebbero ancor più sproporzionati.
      Inoltre il vero problema della 194 è che da subito fu interpretata ed usata come grimaldello per l’aborto a qualsiasi costo e in qualsiasi situazione, mentre di per sé lo prevede per casi estremi – mai verificati in modo stringente. E’ rarissimo che una donna si trovi costretta a ricorrere all’aborto per aver salva la vita (anche in senso esteso, in caso di pericolo grave di ordine psicologico, o di minaccia fisica da parte del padre). Per tutti gli altri casi, c’è la contraccezione, l’astensione, l’affido del bambino all’ospedale o a qualsivoglia persona o istituzione o associazione che ne curi gli interessi in prima battuta, tenendolo in vita e poi affidandolo ancora al percorso giuridico previsto.
      La retorica della stampella è, appunto, solo retorica ipertrofica su un’eventualità reale ma marginale.

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    1. Solo entro i limiti della giustizia.
      E giustizia vuole che non ci si liberi di una vita che si è messa al mondo, senza che nessuno ce lo imponesse.
      La libertà di scelta l’abbiamo: possiamo decidere di non generarla.

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        1. Giustizia è più che legge.
          Citi imprevisti possibili, che però non giustificano in alcun modo la soppressione di una vita. Un bambino può essere dato in adozione, lasciato in ospedale: non dico sia facile, per niente; ma tutti siamo soggetti ad imprevisti di ogni tipo, nel corso dell’esistenza. Se siamo vittime di un incidente stradale ne sopportiamo i danni, perché la realtà è questa – né giusta né sbagliata: è quel che è. Naturalmente chiederemo un risarcimento all’investitore, ma non possiamo cancellare quel che è stato. Nessuno può rivalersi su nessuno perché ha vissuto una disgrazia, non ci sogneremmo mai (se siamo persone di buonsenso) di pretendere il diritto a non essere messi sotto per strada. Una gravidanza indesiderata, per evitare la quale si sia fatto tutto il necessario eppure sia avvenuta, è la medesima cosa. Il bambino è un danno collaterale, non voluto ma ineliminabile.

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        2. Non credo che le donne dovrebbero farsi carico di ogni imprevisto (o magari delle conseguenze di uno stupro) portando avanti una gravidanza che può comportare anche rischi per la sua salute fisica e mentale quando esistono alternative. Dal mio punto di vista quella vita appena concepita è un “potenziale”, non è ancora un bambino. Quella stessa donna potrebbe anche avere altri figli già nati da proteggere, o altre persone le cui vite dipendono da lei, potrebbe morire durante il parto. Affrontare una gravidanza non credo dovrebbe mai essere un percorso da “sopportare” come conseguenza di un imprevisto, ma come pienamente voluto con tutto ciò che comporta, consapevolmente, offrendo le migliori condizioni di serenità e accoglienza anche prima del parto.
          Se la donna che porta in grembo quella vita non è predisposta per dare il meglio, non è nello stato mentale e fisico adatto, perchè costringerla a continuare? Credo che alcune situazioni siano complesse e solo chi le vive in prima persona dovrebbe poter decidere, in sicurezza e con la giusta assistenza, come procedere. Credo che questa maggiore libertà possa dare risultati migliori di una costrizione a procedere in una sola direzione. Con questo non intendo dire che la scelta dovrebbe essere fatta alla leggera..

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        3. I rischi per la salute fisica e mentale, però, sono valutabili – e devono essere valutati: nella realtà invece, spessissimo, si dà un passalà. Lo stupro è proprio uno di quei pochi casi in cui l’aborto diventa potenzialmente lecito per la legge. Dico potenzialmente, perché per traumatico e orrendo che sia il fatto che origina la gravidanza, non è automaticamente foriero di un danno tale per la donna da richiederlo sempre e comunque – suona forse banale, ma è sempre vero che ogni caso, ed ogni persona, è a sé. E naturalmente non sto dicendo che dovrebbe essere una commissione esterna a giudicare se nello specifico avere un figlio frutto di uno stupro sia un’ulteriore violenza sulla donna, se questa sarebbe in grado di partorire e darlo in adozione per non uccidere un innocente senza vivere con l’ombra dell’accaduto per tutti gli anni che le restano, o se addirittura sarebbe in grado di tenerlo con sé e crescerlo: sono tutte possibilità reali, ma dev’essere l’interessata a riconoscercisi. Vorrei che si facesse un’opera di educazione a riflettere su questo, piuttosto che limitarsi a dire che la scelta è nostra: è nostra, ma che strumenti abbiamo per non affrettarci a dire soltanto “non lo voglio”? Pochi, fuori dai Centri di Aiuto alla Vita e simili, che in quanto cattolici o per lo meno religiosi sono relegati all’angolo dell’infamia.

          Sul discorso della vita “potenziale” o effettiva non vado oltre: sappiamo che la pensiamo in maniera opposta.
          Non sarà inutile comunque ribadire che mi fa piacere averti qui, ben sapendo che a volte le mie convinzioni possono risultare pesanti. Sei una persona valida.

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        4. Credo che abbiamo sicuramente chiarito i nostri punti di vista differenti. So per certo che se mi trovassi in quella difficile situazione vorrei sostegno, informazioni, e in definitiva anche la possibilità di poter scegliere. Spero onestamente che mai nella mia vita mi capiti di essere in quella posizione, motivo per cui ho sempre fatto molta attenzione ad avere rapporti protetti, ma rispetto le persone che si trovano in momenti di difficoltà e non sanno cosa fare, perchè non credo sia sempre una scelta facile e leggera, a me manderebbe in crisi.

          Seguo volentieri il tuo blog. Le tue riflessioni non sono sempre in linea con le mie, ma non credo che questo sia negativo. Sei una persona capace di argomentare e dialogare, che fa riflettere soppesando quello che scrive senza scadere nell’offensivo, lo apprezzo. Credo che ascoltare un altro punto di vista possa solo aiutare a crescere. Ovviamente mi troverai senz’altro ancora a leggere, che io non sia sempre d’accordo poco importa. 😉

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        5. La cosa certa è che è difficile trovarcisi.
          A me vengono ancora i vermi ripensando a quando, anni fa, un’amica mi chiese consiglio la mattina dopo aver avuto uno dei famosi incidenti di cui parlavamo.
          Figurati se mi trovassi in quella situazione in prima persona – forse sarei una roccia e avrei la lucidità mentale massima possibile, ma solo perché sono strana e se mi faccio un taglietto sotto l’unghia svengo, dal dentista pretendo l’anestesia, e poi se mi squarcio il ginocchio spargendo litri di sangue non faccio un “ah”.

          Buon pomeriggio 🙂

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  4. Comunque -purtroppo- alla fine nessuno ammetterà mai che non c’è nell’orizzonte umano, razionale e morale nessun minimo appiglio che possa giustificare l’aborto (che è un “omicidio” ma il pol. cor ormai non ci fa dire più nemmeno questo).
    Insomma, il peperone piace, però poi ci si lamenta del peso sullo stomaco. Farne a meno manco a parlarne. Se proprio capitasse che mi viene indigesto, voglio la cura!
    Sti’ cacchio di peperoni…

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