Diario di lettura .3: Donne, storie, strade

Dopo una lunga parentesi romana, ho ripreso la lettura lasciata in sospeso di Seni e uova, della giapponese Meiko Kawakami – qui la recensione de Il mestiere di leggere. Un sostanzioso e tuttavia scorrevolissimo romanzo che ruota attorno alle donne, al loro corpo ed al rapporto che sviluppano con esso, alle famiglie che le hanno generate, quelle che le sostengono (oppure, in prevalenza, no, anzi le affossano), quelle che vorrebbero creare.
Se la famiglia di origine è presente in buona misura nella prima parte del testo, nella seconda ecco che il discorso principale si snoda sulla linea delle famiglie desiderate: più che i partner vagheggiati, si parla di figli voluti, e voluti a tutti i costi, di fecondazione assistita e ancor di più di inseminazione artificiale – persino casalinga ed artigianale, con una pipetta, stante l’illegalità della pratica nel paese del sushi. Magari una dose di sperma congelato consegnato a domicilio?
Nonostante la lunghezza che nel romanzo simili questioni occupano, di vera riflessione, di approfondimento ve n’è poco; inoltre può rendere perplesso un occidentale vedere come il climax più alto nel grafico emotivo-sociale giapponese corrisponda ad una parziale perdita di controllo, subito rintuzzata, ma comunque mal governata: prima nell’infantile considerazione di Yusa Rika secondo la quale non è necessario avere un compagno e fare sesso per avere un figlio, ed il figlio appartiene a chi lo genera e a nessun altro, l’altro può essere chiunque [letterale] e non conta niente; poi nello schietto discorso dell’editor Sengawa alla protagonista e narratrice Natsume Natsuko, scrittrice ed aspirante madre, forse solo interessata a che i suoi progetti sulla cliente procedano senza impedimenti.
Eppure, al netto degli argomenti e delle vicende in chiave femminile, sto godendo molto questo librone da relax – sì, lo considero tale. L’attitudine nipponica a prendere più che seriamente, direi seriosamente i piccoli dettagli e financo le più banali domande che si fanno da se stessi o che vengono loro rivolte, il soffermarsi, soppesare, descrivere con ampiezza gli stati d’animo mi garantisce sempre una buona dose di endorfine da svago totale e profondo.

[…] “quando c’è il desiderio, non servono ragioni. Il desiderio cancella ogni ragione, anche se per assurdo è accompagnato da un comportamento lesivo nei confronti di un’altra persona. Forse non servono ragioni né quando si genera né quando si estingue una vita”.

Una frase emblematica… non solo della posizione predominante rispetto alle tematiche proposte, ma anche del tono generale della storia. Ma forse sono troppo dura: in fondo da me, che sono ormai restia a sobbarcarmi le lagne esistenziali di chicchessia, si è lasciato leggere con piacere.
Ad ogni modo, mi ha commosso nei capitoli finali la parte in cui Natsuko torna al villaggio portuale in cui è nata ed ha vissuto i primi suoi sette anni, fermandosi a cercare la piccola, vecchia e ora disabitata casa in cui stava con la madre, la nonna e la sorella. Non mi stancherei mai di queste ricostruzioni della memoria!

Sentimentale, ma di tutt’altro segno il romanzo, dal merito non abbastanza riconosciuto e discusso, Un amore di Dino Buzzati. L’Arrotino già me lo consigliava lo scorso anno, ma in quel periodo non m’andava – l’ho recuperato quest’inverno.
Mi è piaciuto lo stile a tratti irruento o semplicemente inarrestabile come uno di quei canali cittadini, meno di un naviglio, lenti ma continui nel flusso, privo di punteggiatura che non sia la virgola. Mi è piaciuta la scelta di alternare i tempi del verbo, l’ho còlta più che altro dall’introduzione perché, se no, forse nemmeno l’avrei notata – non è importuna. E mi è piaciuta soprattutto la grazia affettuosa ma discreta con la quale l’autore descrive e anzi accarezza Milano.

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Sul fronte fumetti segnalo un Sandman (Cacciatori sogni) che Gaiman ha scritto in occasione di un anniversario insieme ad Amano Yoshitaka per i disegni. Una storia di ispirazione nipponica tradizionale, un monaco ed una volpe per protagonisti, un monito ed un insegnamento che non feriscono.
Mentre catalogavamo gli albi del’Arrotino da vendere, invece, è emerso un interessante Sergio Toppi: il primo (meraviglioso) ed il secondo (superfluo, incompleto) volume di Sharaz-De, aka Sharazade, versione in bianco e nero di alcune delle storie tratte da Le mille e una notte. L’ho amato tanto che me l’ha regalato e me lo sono portato a Brescia.

Toppi, trattando il materiale con serietà e rispetto, senza accentuare indebitamente caratteristiche etniche o presunte tali ritenute comuni ma attingendo ad ispirazioni molteplici e più prosaiche, terrestri, essenziali dei luoghi e costumi “arabi”, mi ha fatto venir voglia di indagare sulla nota raccolta di racconti concatenati orientali – una struttura nella quale quell’area di mondo eccelle.
Ci sono molta morte, molta avidità e molta astuzia in queste pagine.
E ci sono anche – nella loro strana, ipnotica rappresentazione nipponica – nel romanzo di Shiuchi Yoshida, L’uomo che voleva uccidermi. Esatto: il titolo italiano fa pena, come spessissimo accade. L’orginale, Akunin, significa “malfattore” – più generico, omnicomprensivo, attraente. È bene sia così, perché questa accattivante storia noir non parla di un banale serial killer di formato americano, né di una persona cattiva e basta. Soprattutto, non parla di povere vittime, ma di donne (e uomini) con aspetti comportamentali, morali ed agiti non univoci e piatti; né di incontri “sbagliati” – l’unico vero incontro sbagliato avviene non con un assassino, bensì con un ragazzo qualunque, e qualunquemente orrendo, miserabile, meschino. Tanto che nello sviluppo della vicenda ci porta a toccare con mano un sogno di felicità, la realizzazione di due anime che incontrano la propria controparte.
Ma la conclusione, abilmente, rimescola le carte e pone un interrogativo che lascia il lettore – più che in sospeso – nella difficile e responsabilizzante situazione di dover dare una propria interpretazione alla svolta repentina, di dover fare una scelta che dirà molto a proposito della propria visione della vita, del grado di fiducia che nutre nell’essere umano e così via.
Consigliato.

Saggi & co.

Per la sezione saggistica e non-fiction in generale, un paio di proposte veloci:

Vivono tra noi, Ritratti straordinari di insetti ordinari; di Daniel Kariko (foto), Tim Christensen (testi), Isaac Talley (disegni). Le foto sono… beh, sconvolgenti. Nella loro bellezza – si tratta di una sovrapposizione di scatti al microscopio, ottico ed elettronico -, certo, ma se siete impressionabili lasciate perdere. Altrimenti, mettetevi ben alla luce e godetevi un viaggetto breve ma ben costruito tra l’erba, i cuscini di casa e gli anfratti più nascosti e impolverati.
Moby Prince, un caso ancora aperto di Enrico Fedrighini è l’inchiesta dalla quale è stato tratto il fumetto di cui vi ho parlato la prima volta, a proposito di uno dei tanti misteri della cronaca italiana, di una strage pressoché dimenticata e/o ignorata. Una ricostruzione ampiamente verosimile e credibile, e purtroppo terribile; che pesa sul cuore. Onore alle Paoline che hanno raccolto la sfida.
Le vie che orientano di Deirdre Mask è, infine, un interessante excursus nella storia e nell’attualità dell’odonomastica – la disciplina che si occupa degli indirizzi, della catalogazione degli abitati -, da Kolkata (nome antico di Calcutta) con i suoi slum, uno dei quali omonimo, che vengono progressivamente dotati di indirizzi grazie ad un’associazione dedicata, per permettere che chi vi risiede possa accedere ai servizi pubblici ed ai sussidi, alle recenti lotte per la riattribuzione delle strade americane sulla scorta del movimento Black Lives Matter:

I nomi delle strade sono la nostra eredità culturale, ciò che decidiamo di tenere o buttare via del passato. Orientano i cittadini a livello topografico ma soprattutto identitario, agendo in modo diffuso e inconscio. Potenti dispositivi pubblici, gli odonimi riattualizzano il passato riconosciuto come fondante di una collettività. Al contempo rappresentano un efficace termometro sociale, in grado di riflettere gli umori e le proteste dei cittadini.
Fino a che punto la denominazione di una strada rivela le narrazioni storiche che guidano il presente? Chi decide che cosa conta e quali nomi ricordare? E se le piazze intorno a noi commemorano carnefici e re tiranni? Perché ci sono così poche vie dedicate a donne? Può un indirizzo salvare la vita delle persone?
Deirdre Mask, avvocatessa giramondo, ci offre un’affascinante esplorazione nelle memorie urbane, dall’antichità a oggi. Da Roma a Londra, da New York a Calcutta, da Berlino a Soweto: un intreccio di storie nascoste, basate su documenti sorprendenti, interviste e incontri bizzarri, in uno stile narrativo appassionante. questo saggio ironico e provocatorio, eppure drammaticamente serio, esorta a riflettere sulle strutture più contraddittorie dell’ambiente che ci circonda. Allo stesso tempo indica gli spazi del possibile che si dischiudono quando iniziamo a riappropriarci dei significati delle nostre città.

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2 pensieri riguardo “Diario di lettura .3: Donne, storie, strade

  1. Sempre molto accattivanti i tuoi itinerari di lettura!! Su Seni e uova (grazie per la cit.) condivido la tua analisi e le considerazioni sui temi che emergono nel romanzo.
    Per rimanere i n tema Giappone, ammetto che la tua presentazione di L’uomo che voleva uccidermi mi ha catturata. Lo leggerò.
    p.s. a proposito di titoli tradotti in maniera “strana” ci sarebbe da aprire una super parentesi… vedi anche Le quattro casalinghe di Tokyo…. e affini

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    1. Che bello ♡ Facci sapere di Akunin, poi 😉
      I romanzieri giapponesi, a prescindere dal tema e dallo stile personale, per me sono una garanzia. Hanno un mood che mi dà rilassatezza, di qualunque cosa e in qualunque modo ne parlino…

      Piace a 1 persona

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