Diario di lettura .9: Siamo ciò che mangiamo

Opera di yaoyaomva (da Instagram)

Buona parte della più recente fornitura di letture dalla biblioteca consiste in saggi su alimentazione e, soprattutto, etica e diritto animale.
Per la prima categoria segnalo il saggio di Michael Pollan, “In difesa del cibo”, arrivato dopo il buon successo de “Il dilemma dell’onnivoro”.
Si tratta d’una concisa disamina del fenomeno – per altro poco riconosciuto per quel che è – del nutrizionismo (concetto che l’autore tiene separato, in quanto “ideologico”, dalla scienza della nutrizione o alimentazione che dir si voglia). E’ una rassegna di grida al macro- o micronutriente miracoloso, le cui proprietà benefiche non sono irreali ma piuttosto pompate, isolate ed esaltate in una corsa mediatica ed industriale al riduzionismo scientifico (dove per scientifico s’intende qui tecnico-stregonesco-tecnologico).
L’assunto di base, dal quale tutto il discorso discende, è semplice ed insormontabile: la tendenza imperante (e dannosa anzichéno) dell’industria e del commercio, ai quali governi ed organizzazioni non governative dedicate alla salute si piegano volentieri, è quella di sostituire quanto più possibile (per ragioni anch’esse semplici e d’immediata comprensione di vantaggio e dunque profitto, nella più piana delle logiche) il *cibo* – dall’ortaggio appena còlto al pane appena uscito dal forno, preparato e cucinato a partire dagli ingredienti base ma non lavorato, processato, cioè dissezionato e ricomposto con integrazioni, modifiche, alterazioni ed adulterazioni spacciate per necessarie – con i singoli *nutrienti*, spesso addizionati, mescolati, sfruttati non come componenti reciprocamente legate d’una costruzione biologica viva quale noi siamo, ma come mattoncini Lego d’un edificio che si suppone inerte. Nutrienti i quali, appunto – in attesa degli alimenti interamente creati ex novo da cellule staminali ed inseriti in una pillolina – non possono che venir veicolati da un supporto commestibile, leggi: prodotto industriale.
Discorso insomma interessante, soprattutto per alcuni retroscena che illuminano meglio alcuni fatti noti a chi ancora ricorda il sapore di un vero pomodoro coltivato nell’orto dietro casa ed ha visto, almeno una volta nella vita, la propria nonna o financo mamma fare il pane: ossia che i prodotti confezionati e pronti all’uso (che di uso, di consumo e di “nutrizione” si tratta e non di “nutrimento”) divergono per molti ed importanti aspetti dal vero cibo: dall’alimento così com’è, trasformato dall’atto del cucinare ma non stravolto, diminuito o accresciuto di elementi estranei alla sua natura.
Come suggerisce, ironicamente, il buon Gio:

A presto amiche e amici, bevete acqua, mangiate frutta e verdura e state al fresco (ora non dicono più di andare al supermercato, a causa del Covid): seguite i consigli che ci propinano nutrizionisti e medici ad ogni ora del giorno e della notte. Magari bastava ascoltare i nonni, ma quelli sono vecchi.

Fast Food Nation, di Eric Schlosser, è un perfetto complemento (ma forse i ruoli sono invertiti, in verità) al saggio di Pollan: a dispetto del titolo acchiapparello, è un documento corposo e a suo modo poderoso sulla reale natura di questo totem eminentemente americano, su ciò che nasconde con la nostra complicità: la pericolosità ambientale e sanitaria, la violenza sociale e la bruttura del sistema di allevamento intensivo di animali (da latte o da carne), l’olocausto animale in sé e per sé (non esito ad usare questa locuzione, che trovo appropriata e incontestabile), la distruzione sistematica del rispetto per qualsivoglia ambito dell’azione umana, dal lavoro alla tradizione locale.
Non è recentissimo ma è tristemente tutt’ora valido; lo consiglio.

Dei tre libri nella foto qui sopra, ho letto finora i due al centro e a destra.
Zuolo per la verità solo a metà, saltando capitoli (altro diritto del lettore da me poco esercitato negli anni, ma sto imparando a recuperare). E’ pura filosofia, bisogna averne gana cioè voglia, ma è proprio questo il bello: filosofia cioè sistematizzazione, tassonomia, descrizione dei sistemi di pensiero che si occupano dell’etica animale – senza tuttavia prender parte all’agone.
Moussaief invece è meno scientifico e più empirico (che non è una parolaccia), non si fa mancare i dati ma racconta soprattutto i fatti, le esperienze – dirimenti anzichéno. Non solo il maiale, ma tutti gli animali da fattoria / da reddito sono i protagonisti delle sue pagine.

6 pensieri riguardo “Diario di lettura .9: Siamo ciò che mangiamo

  1. Grazie della citazione, con la quale assurgo nell’empireo dei saggi un tanto al chilo. Posso dare tanti altri bei consigli, basta chiedere! 😂 Molto interessante e condivisibile il tuo articolo, le tue letture sono sempre fonte di meraviglia per me che ormai leggo solo La Provincia e la rivista di Reazione a Catena. E degli integratori, queste sostanze misteriose vendute a peso d’oro che troveremmo gratis negli alimenti mangiando bene, vogliamo parlarne? E parliamone! 😉

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    1. Fai bene tu, i giornalacci nazionali ormai non valgono un fico né secco né fresco.
      Per il resto, i libri cioè, ognuno fa quel che può!
      Sappi che io ho i miei saggi e guru personali, accuratamente selezionati ❤️

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  2. Sai che, pur concentrandomi sulle forme, non è che disprezzi i contenuti. Tutt’altro: i contenuti sono troppo importanti, a volte, perché me ne occupi io.
    Per cui:”rassegna di grida”? “Rassegna di guida”, forse.
    Poi, sono rimasto interessato dal tuo “anzichéno”. Me lo spieghi? Io so che si dice “anzichenò” e non ho voglia di andare a cercare informazioni specifiche.

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    1. Grida, non guida, come le grida medievali (credo) degli strilloni, dei banditori.
      Cioè gli appelli lanciati con grande enfasi e carica ansiogena.
      Probabilmente anzichenò è anche più corretto, chissà.
      Non ho consultato alcuna autorità per verificare la regola, penso che sarebbe in effetti meglio staccare, se voglio mettere l’accento sulla e: anziché no.

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      1. Ah, grazie. Ho capito. Però, a differenza delle grida che sono le urla, quelle, nonostante un uso diffuso (spesso si parla infatti di “grida manzoniane”), al plurale fanno “gride”, e pare fossero editti con forza di legge, soprattutto sotto le dominazioni spagnolesche, con tanto di sanzioni per i trasgressori.

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        1. Non lo sapevo.
          Per me sono sempre state grida anche al plurale.
          E come per tanti altri vocaboli credo non cambierò quest’uso, adoro le parole che non cambiano in base al numero – l’avevi capito, mi sa 🙂

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