Spiaggiata. Come un elefante

Mi allungo sulla sdraio sul balcone, riparata dalla tenda da sole, come sono tornata a fare da un paio di giorni a questa parte.
Vòlto il capo a sinistra, e vedo una ragazza attraversare il piccolo parcheggio di fianco al parco giochi. Giovane, senza fretta ma palesemente agile. Lo sarei anch’io, del resto, se mi limitassi a camminare; e mi immagino nei suoi panni, la immagino nei miei: una donna in apparenza sana ma che cammina piano, si guarda intorno consapevole d’essere osservata e si chiede se si capisce, dall’esterno, che è malata. Se si nota o non si nota per niente che è affaticata, e quando raggiungerà il proprio letto ci si lascerà cadere allo stremo.
Intanto nel palazzone alle sue spalle qualcuno diffonde nell’aria e per le strade altrimenti deserte una canzone che non riconosce, che non riconosco, pop ma troppo adolescenziale perché ci riguardi. Siamo il target sbagliato.

Richiudo gli occhi sull’incedere lento che mi ha suscitato questi pensieri per pochi secondi.
Poi decido che voglio scriverli, ma per farlo dovrò usare il pc e non il cellulare, dal quale fatico.
Lo farò in tre tempi: accensione, riavvio del browser e breve riapparizione sul mio blog. Tra un’operazione e l’altra, una pausa nuovamente sulla sdraio.
Poi tornerò a leggere degli elefanti, con la loro scansione quieta delle proprie faccende. E a riposare il corpo stanco, da elefantessa centenaria.

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