Childfree .10: Conigli come figli

Torno dopo mesi a scrivere questa rubrica perché, incidentalmente, ho svolto negli ultimi due mesi alcune riflessioni sulla maternità che mi sembrano pertinenti.
Mi sono decisa leggendo questo post in un gruppo di conigliari:

Non solo una cosa normalissima che la povera malcapitata desiderava evidentemente condividere per sentirsi meno oppressa dalle incombenze di chiunque abbia figli, propri o pelosi (poi ne parliamo), ma anche – idealmente – la potenziale spia di quella che io considero una cosa altrettanto normale: il desiderio di sbarazzarsene.
Tuttavia il genio, etimologicamente inteso, del giudizio arbitrario e del rancore gratuito alberga ovunque, ed in Facebook ancor più a suo agio, così ecco apparire tempestiva e ineluttabile come la morte la piccola saccente maldisposta di turno:

Ecco, pur con la precisazione (unica forse ma essenziale) che, pari nella dignità, uomo e animale rivestono comunque un ruolo differente nella creazione (più importante e di grado più alto quello umano), concetto che rivendico insieme al titolo di animalista e per i quali, entrambi, l’antispecismo militante mi metterebbe al palo; fatta salva questa precisazione dico, trovo del tutto sensato e giusto appellare i propri animali “figli” (e comportarsi di conseguenza).
Sono creature viventi. Hanno, sia pure declinati in modalità differenti, i nostri medesimi bisogni (cibo, riparo, salute, socialità, espressione di sé e realizzazione del proprio potenziale). E nel momento in cui decidiamo – anche in vece loro – di esserne i proprietari (a livello legale), i padroni (a livello pratico, per molti il rapporto è ancora questo) ed i detentori / custodi (a livello morale), salvo eccezioni ne diventiamo anche i familiari (a livello affettivo).
Se in casa mia si sviluppasse un incendio – tipica ipotesi di lavoro filosofico – e fossi impossibilitata a salvare sia l’Arrotino sia le niglie (ma solo in tal caso), sceglierei, sia pure soffrendone, di recuperare l’Arrotino. E’ un atto dovuto, giusto per tutti? No. E’ un atto normale, largamente preferibile per la maggioranza degli individui? Sì. Io sceglierei di salvare, non soltanto ma prima, un individuo della mia stessa specie se e sottolineo se quell’individuo facesse anche parte della mia famiglia, o comunque avessi con lui / lei un legame particolare, o, ancora, lo / la ritenessi per qualsivoglia motivo più meritevole di altri.
Ciò, se sapete leggere fra le righe, vi suggerisce anche che, posta come ribadisco la priorità dell’umano sull’animale non umano (sempre però a parità di dignità d’esistere e d’essere liberi e rispettati!), il criterio per stabilire come agire in simili casi – che sono, ripeto, eventualità reali ma di studio per allargare la riflessione alle fondamenta della propria coscienza, ed essere davvero pronti alla vita, senza improvvisazioni dannose – non è mai uno solo.
Se al posto dell’Arrotino in casa vi fosse, insieme alle niglie, uno sconosciuto privo di caratteristiche che mi facciano propendere per lui (bambino, disabile, anziano, ecc.), salverei prima le niglie e solo poi, se possibile, il mio conspecifico. Senza estremizzare e senza scadere nel familismo, che è altra cosa, ricordiamo che nel Vangelo è Cristo stesso a indicare come chi si assume l’impegno di creare una nuova famiglia, debba primariamente a questa e non ad altri la propria fedeltà e la propria cura.

Faccio notare, dopo questa lunga parentesi, ciò che rileva nel primo commento al post sconfortato della ragazza stufa dei “disastri” della niglia di casa.
Oltre a dare per scontato ed obbligato che la pazienza di un genitore debba essere totale ed infinita (così non è: si diceva, una volta, “la pazienza ha un limite”, sì, anche quella più grande, profonda e destinata alla propria carne), la commentatrice trova apparentemente sbagliata l’idea che i figli si possano anche non sopportare – al di là di come poi concretamente si esplicitano i propri rimproveri o, addirittura, si manifesta l’insufficienza dell’amore materno a far fronte a tutto.
Ecco: no e poi no. Fare del nostro meglio nei confronti di chi abbiamo messo al mondo (o adottato, o quel che sia) è doveroso, mentre amare i propri figli, star bene insieme a loro, apprezzarli non lo è. Così come è del tutto fisiologico, e legittimo, che loro ci annoino, ci infastidiscano, o che ci si penta d’averli generati. E proprio per quanto detto sopra, questo sentimento è legittimo anche per i figli, o come preferite chiamarli, di altra specie; gli animali di casa, i “pelosetti”…
… quante volte i volontari si lamentano (giustamente, ma solo da uno specifico punto di vista: cioè quando l’adottante si rivela superficiale, e questo a mio avviso è vero molto meno spesso di quanto si pretenda) che le persone prendono con sé un animale, per poi scoprire che non fa per loro / è troppo impegnativo / ci si trovano male?Eppure, se non ricevono richieste, si lamentano ugualmente dell’indifferenza e pigrizia della gente…!
Ebbene, ribadito per maggior sicurezza che la lungimiranza, il senso di responsabilità e l’onestà anche verso se stessi debbono essere sempre le prime forme di rispetto da garantire, resta l’imperfezione del nostro giudizio per quanto ponderato. L’imprevedibilità di troppe cose nella vita. Nonché il caso, l’inaspettato, l’inconoscibile-se-non-praticandolo.
Resta, anche, che si può (e talvolta si deve, ci si vergogni o meno, per il bene di tutti) cambiare idea. Pentirsi. Voler tornare indietro, prima che la scelta fatta vada troppo oltre e faccia danni più grandi, emotivi e non solo.

Chiudo la mia piccola, e spero non troppo confusa, dissertazione annotando una mia convinzione che la illumina ulteriormente: pur riconoscendo l’aborto come crimine e peccato intrinseco, a prescindere dalle attenuanti (o anche aggravanti) che la situazione concreta di chi lo sceglie comporta, senza dubbio lo trovo allo stato attuale delle cose tanto più scandaloso proprio perché ci è offerta una possibilità non facile, ma sempre disponibile e inalienabile, di prendere una via d’uscita senza con ciò uccidere nessuna creatura: abbandonare.
Abbandonare in ospedale (certo non in un cassonetto!) un neonato che già sappiamo di non volere. Abbandonare un animale che ci rendiamo conto di non sapere, o volere, gestire presso un’associazione che se ne occupi (certo non in un campo o per strada!). Vogliamo dire affidare? L’abbandono rimane, ma non è una colpa, se scelto con coscienza e lucidità e agito in modo da preservare intatta la persona (umana o animale che sia); questo è ciò che io penso.

A volte ci vorrebbe una pausa. A volte, i figli non ci vorrebbero proprio.

Ciò detto, per chi invece si sentisse pronto per questo genere di avventura, ricordo a tutti che ancora per un mese e mezzo io e l’Arrotino ospiteremo le due graziose donzelle che potete ammirare nella foto sotto: Freya ed Ostara.
Le bimbe hanno 10 mesi (giovincelle!), sono sorelle che se la intendono alla perfezione, si sostengono in tutto e, per questo, sono particolarmente adatte a vivere con chi per motivi di tempo, lavoro, attitudine personale teme di non poter offrire loro molto più delle attenzioni basilari. Che, lo ricordo, sono:
– libertà h/24 se non in tutta casa almeno in una stanza riservata,
– veterinario specializzato in animali esotici (sono già sterilizzate e vaccinate con Nobivac-Myxo-RHD-Plus fino a febbraio 2022),
– alimentazione corretta (fieno, verdure indicate, un poco di pellett; NO semi o cereali).
Si trovano a Brescia ma si spostano per una buona adozione, previo colloquio conoscitivo in videochiamata ed un periodo di pre-affido, di modo che sia l’adottante sia l’associazione (Il rifugio di Leo) possano valutare come procede 🙂

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7 pensieri riguardo “Childfree .10: Conigli come figli

  1. Conosco una certa signora antipatica. Se, dovendo mettere a repentaglio la mia vita, potessi salvare solo lei oppure i suoi cani, non c’è dubbio che salverei questi ultimi. La signora si attaccherebbe! Che la salvasse qualcun altro! ;-P

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    1. Io salverei la signora, nonostante l’antipatia o financo l’odio.
      A meno che non abbia con i cani un legame forte, ma davvero forte, non solo una simpatia o un affetto generico.
      Prendi come esempio la Stronza, così l’ipotesi si fa più chiara e realistica: se la palazzina fosse in fiamme e ci fossero le niglie, salverei le niglie; se le niglie fossero già state adottate e dovessi scegliere tra lei ed un cane (anche Maya, per esempio), salverei lei. Accidenti a lei.

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