Una sinistra mutazione

Ricolfi spiega la guerra dei progressisti alla realtà

Nel suo ultimo saggio, Luca Ricolfi ricostruisce la «mutazione» dell’area progressista post muro di Berlino «Gli intellettuali di sistema presidiano il politicamente corretto in cambio di postazioni molto ben retribuite»

di Francesco Borgonovo
Da La Verità, giovedi 3 novembre 2022

Ogni volta che qualcuno a sinistra – come sta accadendo in questi giorni a proposito dei rave party o degli studenti della Sapienza – si riempie la bocca con parole come «di­ritti» o «libertà», sentiamo i brividi correre lungo la schiena. E il motivo è sempli­ce: per i progressisti i pre­sunti diritti sono (…) la scusa per imporre la soppressione delle libertà. Siamo al cospetto della sini­stra più liberticida di sempre, e le prove a sostegno di questa tesi non mancano. Ne fornisce numerose Luca Ricolfi in un saggio intitolato La mutazione (Rizzoli). Secondo il sociologo assistiamo a una sorta di mi­grazione: la difesa dei deboli e della libertà di pensiero, un tempo valori fondanti dei gauchiste, oggi sono prerogative dei conservatori.

Scrive Ricolfi che il grande cambiamento avviene sostan­zialmente con la caduta del muro di Berlino, insomma nell’epoca della «fine della Storia» e della globalizzazione trionfante. «Persuasa dei be­nefici del commercio mondia­le e delle virtù del mercato, in­sensibile a ogni richiamo ai ri­schi dell’apertura e dell’interdipendenza, la sinistra abban­dona quasi in toto le grandi battaglie per i diritti sociali (la­voro, studio, salute), per indi­rizzare tutte le energie su due sole questioni: diritti civili, di­fesa degli immigrati.

La tutela dei poveri è stata abbandonata per far spazio alle élite finanziarie

Diritti gay, coppie di fatto, quote rosa, fecondazione assistita, mater­nità surrogata, stepchild adop­tion, eutanasia, depenalizza­zione delle droghe. testamento biologico, linguaggio sessi­sta, omofobia, transfobia, di­ritti degli immigrati, acco­glienza sono diventate le gran­di «battaglie di civiltà» della si­nistra ufficiale negli ultimi an­ni. E probabilmente hanno contribuito non poco a edifi­care quel senso di superiorità morale, quella convinzione di rappresentare la “parte mi­gliore del Paese”, che da anni accompagna la classe dirigen­te della sinistra ufficiale».

Non potremmo formulare una diagnosi più accurata. «Liberandosi della zavorra dei ceti popolari», prosegue Ricolfi, «la sinistra ufficiale ha in fondo trovato un suo equili­brio. Da un lato, sa perfetta­mente che le grandi “battaglie di civiltà” interessano solo i ceti medio-alti, i professionisti, gli artisti, i giornalisti, il mon­do della cultura e dello spetta­colo, e che quella, ormai, è la sua base sociale, da coccolare e rafforzare nella propria autostima. Dall’altro, grazie alla difesa intransigente degli im­migrati e dei loro diritti, può continuare ad auto-percepirsi come paladina degli ultimi, anche se ha perso gli operai».

Insomma, la sinistra è dive­nuta la portavoce dell’élite, del tutto in linea con le istanze dei grandi poteri economico-finanziari che regolano le sor­ti dell’Europa e del mondo. Poiché mantengono il predo­minio anche con la forza, cer­to, ma soprattutto attraverso la seduzione e la propaganda.

La parte forse più interes­sante del libro del sociologo proprio quella in cui egli pren­de di petto l’ossessione pro­gressista per la manipolazio­ne delle parole. A parere di Ricolfi, negli attivisti si è sedi­mentata la convinzione «se­condo cui il potere si esercita essenzialmente attraverso il linguaggio. In un certo senso, i profeti del nuovo politica­mente corretto hanno fatto propria – radicalizzandola – la Teoria degli atti linguistici di John Austin, formulata per la prima volta nel 1956 e succes­sivamente divulgata da John  Searle. L’idea base è che gli enunciati siano azioni, che trasmettono intenzioni e pro­ducono effetti».

Alla base di tale visione un po’ di verità c’è. Cambiare le parole non significa cambiare la realtà, ma modificare il lin­guaggio permette di modifica­re i pensieri, e di ottenere co­munque dei risultati imponendo una narrazione domi­nante che orienta l’azione dei governi e, di conseguenza, in­fluisce sulla vita dei singoli.

Affinché la narrazione do­minante si affermi, bisogna fa­re in modo di cancellare tutte le narrazioni concorrenti, tut­ti i discorsi che possano met­tere in crisi il sistema di pote­re. Compito a cui i solerti censori della sinistra si dedicano con impegno. «Oggi, a disse­minare di ostacoli la libertà di manifestazione del pensiero, provvede direttamente e spontaneamente l’establi­shment economico-culturale mediante la sua adesione sen­za riserve all’ortodossia del politicamente corretto. Un’a­desione che, negli ultimi quin­dici anni, è maturata anche grazie all’esplosione dei so­cial, sempre più capaci di inti­midire imprese, piattaforme, istituzioni con il ricatto della cancellazione e delle campa­gne di biasimo», scrive Ricolfi. E prosegue: «Gli intellettuali, insieme agli altri protagonisti della vita artistica e culturale del Paese, sono parte inte­grante dell’establishment. Occupano importanti (spesso ben retribuite) postazioni nel­l’editoria, nei quotidiani e nei settimanali, nelle grandi piat­taforme del web, nelle reti tv, nell’industria dello spettaco­lo. Sono indefessi organizza­tori di migliaia di fiere e festi­val, premi poetici e letterari, manifestazioni culturali, eventi legati alle specializza­zioni artigianali e culinarie dei territori. Non combattono, da fuori, contro il potere e la censura, ma semmai vigilano, da dentro, sul rispetto dei principi del politicamente corretto, cui quasi sempre aderiscono e di cui non di rado si sentono le vestali. Sicché la censura, che nei primi decen­ni della repubblica era di destra, oggi – agli albori del terzo millennio – è soprattutto di si­nistra».

Sulla rive gauche i migranti sono il solo legame rimasto col mondo degli ultimi

Tali affermazioni sono dif­ficilmente contestabili. Solo su un punto il pensiero di Ricolfi merita d’essere integra­to. Egli infatti presenta la mu­tazione della sinistra come una stortura che, volendo, può essere corretta. In realtà, si tratta di un approdo naturale e quasi obbligato. Il sociologo si avvicina alla verità quando so­spetta che «gli eredi del Parti­to comunista siano rimasti profondamente e irrimedia­bilmente leninisti nell’anima, prigionieri dell’idea che il po­polo non sia in grado di pren­dere coscienza dei propri inte­ressi da sé, e che per far matu­rare tale coscienza siano indi­spensabili le “avanguardie”, guide politiche e spirituali delle masse incolte». Proprio qui sta il punto, nello gnostici­smo rivoluzionario che è parte integrante del dna progressi­sta. Se i dignitari comunisti si sentivano illuminati in pos­sesso della conoscenza utile a guidare le masse verso il para­diso in terra tramite la rivolu­zione, i liberal di oggi (risciac­quati nel giacobinismo ameri­cano) sono convinti di poter purificare il mondo riscriven­done le strutture di potere at­traverso la modificazione del linguaggio. In entrambi i casi, il risultato è un atteggiamento di superiorità e di intolleranza feroce tipico di chi si sente portatore del bene nei riguar­di dei dissenzienti, i quali rap­presentano le forze del male da sconfiggere a ogni costo. Siamo sempre lì: alla lotta fra il bene e il male, uno scontro che miete parecchie vittime, pri­ma fra tutte la libertà.

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4 pensieri riguardo “Una sinistra mutazione

  1. Sì, sono abbastanza d’accordo con questa analisi, lo dico da un bel po’ di tempo che la sinistra (certa sinistra, sicuramente i dem italiani e americani) si è dimenticata dei diritti sociali per diventare partiti radicali di massa. Ma se le due cose non vanno a braccetto si lasciano i ceti popolari, chi fa più fatica, in mano alle destre spesso populiste che non hanno interesse a risolvere i problemi perché il loro potere deriva dalla rabbia, dalla contrapposizione, dal mettere povero contro povero. Sorvolo sulla radice leninista, magari! Quando c’erano i grandi partiti di massa, comunista, socialista e democristiano (anche la DC aveva una sua sinistra) si ebbero le più grosse conquiste sociali e civili. Però, diciamocelo, anche i cittadini erano diversi, ora sembrano lobotomizzati dal consumismo e dai social…

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