La mia vera passione sono le storie. Le vite. Le vicende personali, quand’anche abbiano uno sfondo nella Storia collettiva. Quelle che vi propongo in questo nuovo capitolo del mio diario sono appunto letture che raccolgono storie differenti, in due casi su quattro raccontate dai diretti protagonisti.
La salvezza nello yoga
Denise Dellagiacoma, creatrice di Yoga Academy, per trasmettere ai lettori la medesima curiosità ed il desiderio che lei stessa prova per la disciplina di cui ha fatto, prima che un mestiere, un fulcro di vita, ha dato la parola ad alcuni dei suoi allievi.
Alle loro considerazioni ed ai loro ricordi sul quando e sul perché abbiano approcciato la pratica, sempre comunque comparsa sulla loro strada nel momento del bisogno in una splendida sincronicità, alterna i propri, insieme a nozioni più tecniche (ma nient’affatto complesse, anzi estremamente piane) su meditazione, asana, pranayama – i tre elementi che costituiscono anche ciascuna sequenza di pratiche ideata appositamente per ciascun allievo, e la situazione tipica che rappresenta.
Da appassionata (da sempre) di questa disciplina orientale, pur non praticandola con costanza e solo per brevi periodi (costanza NON è mai stato il mio secondo nome), mi sento di consigliare – e con particolare intenzione, non distrattamente come lo si può fare per le decine di libri che ci passano per le mani e troviamo in varia misura validi – d’entrare (o ritornare) in contatto con lo yoga proprio attraverso questo agile manualetto.

Può darsi che qualcuno di voi già conosca il suo nome poiché è stata una sciatrice professionista, in forza alle Fiamme Gialle. Una vita precedente, bella ma non sua – non dharma, se si vuole usare la terminologia specifica.
La salvezza nell’arte
Molte sono le donne le cui esistenze, imprese, estrosità Alessandra Redaelli racconta, con grande abilità e leggerezza, nella sezione loro dedicata del libro Forse non tutti sanno che l’arte…, edito da Newton Compton. Un testo divulgativo ma che evidenzia bene tutta la profonda conoscenza dell’autrice, capace di ricamare con i dettagli della storia, della tecnica e del teatro umano dell’arte golose e ricchissime tele – l’ho divorato.
Ci sono le artiste, di ogni genere e tipo: esposte, avanguardiste, muse, antesignane del femminismo senza le catene di pedanti definizioni e civili responsabilità, o nascoste, tradite e sfruttate, incomprese ed incomprensbili ma perfettamente serene (come la mia preferita: Madge Gill, che a seguito della perdita di due, poi divenuti tre, figli una bella notte s’alzo e cominciò a comporre arazzi di testo in stile scrittura automatica e disegni. Lo fece ogni notte, per anni); ci sono i folli, gli irosi, non solo i noti Ligabue e Caravaggio ma anche per esempio il pittore dei folletti Richard Dadd: quarant’anni e rotti in manicomio a dipingere con mano ferma e meravigliosa scene immancabilmente circondate da minuscoli esserini inquietanti (e grossi festoni di pipistrelli ributtanti), uno dei quali ha per altro ispirato una canzone dei Queen.

Sesso, sacro furore artistico, depressione e paranoia, vizi manie stramberie: il catalogo è ampio e studiato con minuzia. Lo consiglio caldamente agli appassionati di biografie, di curiosità, di wunderkammern variopinte e sorprendenti.
La salvezza nella memoria popolare
Potrebbe sembrare limitante, la memoria popolare. Che non è “soltanto” quella distribuita delle masse, ma pure quella pur sempre organizzata della cultura, purché non istituzionale, ufficiale, irrigidita da successo e consuetudine. Invece credo che i ritratti che Francesca D’Aloja fa ad una serie di personaggi iconici, mai abbastanza sviscerati, ricadano proprio sotto quest’ombrello. Sono, per usare una locuzione molto in voga e però esatta, non conformi.
L’autrice ha una felice abilità di esposizione, dal tono fatato senza scadere nel trasognato. Voglio perciò citare Spiriti, galleria appunto di ritratti di figure che durante i lockdown pandemici l’hanno accompagnata, lei dice, perché piena di fascino e trampolino perfetto per un lancio alla scoperta di intere vite.
Le prime due narrate sono quelle di Rembrandt Bugatti, artista in parte riscoperto ma tuttora misconosciuto, fra gli eredi ognuno a suo modo creativi della nota famiglia che dà il nome ad una casa automobilistica; e di Nikola Tesla, inventore per vocazione e di molto più della sola, ancorché rivoluzionaria e determinante, corrente alternata. Storia tragica la sua, che a me fa rabbia e, insieme, un’estrema tenerezza.

La salvezza nella fuga
Fuga non è una brutta parola. Né un’azione vile, se è la sola a poterti garantire di continuare a vivere. Come nel caso delle donne (pakistane, bengalesi, indiane) che si raccontano in Libere. Il nostro NO ai matrimoni forzati, curato da Martina Castigliani che le intervista una volta approdate alla loro nuova vita (nuova vita, nuovo nome, dopo aver abbandonato tutto ed essere state accompagnate dai carabinieri presso un luogo protetto gestito dall’associazione Trama di Terre) e che include svariate appendici rilevanti, fra le quali una rassegna normativa.
A proposito di norme, cito: ad aprile 2022 (…) la Camera ha dato un primo via libera alla cosiddetta “legge Saman” (prima firmataria era Stefania Ascari del M5S): il provvedimento estendeva la possibilità di avere un permesso di soggiorno (temporaneo) per motivi umanitari anche alle vittime di matrimonio forzato. La questione dei documenti è centrale, infatti, quando le giovani donne devono decidere del loro futuro. La legge sembrava a un passo dall’approvazione definitiva del Senato, ma la caduta anticipata del governo Draghi ha bloccato tutto. E se ne riparlerà, forse, nella prossima legislatura.
La prossima legislatura ora è l’attuale, e non può e non deve passare un altro giorno senza questa tutela minima (spesso il motivo che fa tornare a casa queste ragazze, restandovi intrappolate, è la necessità di recuperare i documenti). Proprio ieri il corpo di Saman è stato ritrovato, ma per quanto orrore ci faccia, va scoperchiato molto altro dopo la sua tomba. Se le donne che in questo libro pubblicato sotto l’egida di una fondazione de Il Fatto Quotidiano, con molte opportune omissioni per evitare d’essere riconosciute e rintracciate dalla famiglia, nonostante le vicende tremende che hanno alle spalle hanno potuto mettersi in gioco nella speranza di dare un messaggio ad altre ragazze nelle stesse condizioni, loro non hanno potuto, perché sono state ammazzate:
Saman Abbas
Sana Cheema
Azka Riaz
Kaur Balwinder
Shahnaz Begum
Hina Saleem
Un buon numero di queste ragazze che scompaiono dai radar vive e viveva nella mia città, Brescia. Tra di loro, scampata per un pelo alla condanna, c’è Parvinder Kaur Aoulakh (detta Pinky). Nel novembre 2015 Agib Singh cosparge di liquido infiammabile e dà fuoco alla moglie venticinquenne Parvinder Kaur Aoulakh davanti ai figli di cinque e tre anni. La donna riesce a scappare da una finestra e si salva grazie all’intervento dei vicini. Rimane in coma per un mese. L’uomo è stato condannato in via definitiva dalla Cassazione a quattordici anni di carcere. La donna, che ora si fa chiamare Pinky, è di origine indiana ed è in Italia da quando aveva sei anni: a venti, è stata costretta a sposarsi con un connazionale e per anni ha subìto i suoi maltrattamenti. Oggi è coordinatrice a Brescia dell’associazione Wall of Dolls e porta in giro la sua testimonianza.
Quello che possiamo fare noi è, seppure grazie a Dio indirettamente, testimoniare a nostra volta: per esempio, come viene suggerito, stampando i dieci consigli riportati in appendice a chi vorrebbe scappare da un matrimonio forzato che si profila all’orizzonte ma non sa come fare, non sa con chi parlarne, tratti dal noto libro di Ayaan Hirsi Ali, Non sottomessa. E lasciandoli a disposizione in luoghi pubblici, dove possano arrivare alle loro destinatarie naturali.
Per mille motivi sento Saman particolarmente vicina, ed ora più che mai prima, sento essere anche una mia responsabilità aprire gli occhi su quello che ho intorno.

È davvero ora di finirla con queste pratiche da medioevo, ormai siamo nel 2023 ed esistono ancora i matrimoni combinati e tutto il resto. È assurdo, occorre salvaguardare queste donne e bambine e tutti quelli che vengono considerati proprietà privata e di cui si può fare quello che si vuole, è ora di finirla!
"Mi piace"Piace a 2 people
Uno dei messaggi che emergono più forti dal libro è che questa visione della donna come oggetto, creatura subordinata (ed inferiore) all’uomo, non libera, da controllare in quanto intrinsecamente problematica e colpevole, è trasversale alle epoche e alle culture.
Ovviamente con tutte le specificità del caso, ma non basta in definitiva dire: è un’ottica tribale, non avallata dal Corano (per altro le ftwe in proposito sono state pochissime e deboli!), né, dalle nostre parti, dire: dipende da una mentalità arretrata, di possesso e non di amore, premoderna, incivile, ecc.
Perché, anche se queste analisi sono di per sé corrette, tendono a farci credere che queste modalità di pensiero facciano parte di nicchie culturali feroci ma minoritarie, isolate, mentre sappiamo sia per i matrimoni forzati (da noi vietati molto tardi, più di quanto siamo abituati a pensare) che per i femminicidi nostrani purtroppo spesso li sottostimiamo, non li prevediamo con la chiarezza e sicurezza che abbiamo di fronte ad un fatto compiuto e che riguarda terzi. Insomma, il pensiero di sopraffazione sulla donna non è un universo ben distinguibile e nettamente separato dall’approccio sano, è diffuso, sottile, intersecato con quest’ultimo.
Perciò al di là degli ambiti e delle geografie di provenienza una ragazza pakistana che scappa da un matrimonio forzato (preceduto di solito da maltrattamenti e privazioni di altro genere) ed una donna “emancipata” italiana che si difende da un ex opprimente con un ordine restrittivo, sono più simili di quanto le apparenze lascino pensare proprio per la dinamica universale dell’oppressione maschile (e se con questa espressione suono femminista militante, pazienza: troppe precisazioni annacquerebbero la sostanza del concetto). In ambo le situazioni, poi, troppo spesso sia la pakistana che l’italiana ci lasciano la pelle.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Quanta strada c’è ancora da fare nel mondo ma anche nelle nostre famiglie……… La donna viene costantemente considerata un essere inferiore (quando non a parole, a fatti) anche da “bravissimi” maschi che spesso non hanno neppure la percezione di dove stia il problema e anche da donne che si ritengono “emancipate” e continuano a volte inconsapevolmente a sottomettersi come fosse un “dovere” sacrificando sempre loro stesse. Ovviamente le persone non sono tutte uguali, dico solo che la strada è ancora molto, molto, lunga.
"Mi piace"Piace a 1 persona