Nel giugno del 1941, mentre stanno per lanciare l’operazione “Barbarossa” contro l’Unione Sovietica di Stalin, Adolf Hitler e Joseph Goebbels discutono anche un’altra offensiva, quella che dovrebbe segnare la “soluzione finale” nella lotta al cancro. Robert Proctor, storico della scienza attento soprattutto ai problemi etici della ricerca medica, ricostruisce una delle più enigmatiche e misteriose vicende del regime nazista. Non meno ricca di colpi di scena, di suspense, di personaggi ambigui, fu anche la guerra di Hitler contro quello che è stato definito il “male del secolo”.
Gli orrori della medicina nazista sono ormai sotto gli occhi di tutti. Molto meno noto è il fatto che il Terzo Reich, sfruttando i propri apparati totalitari, non solo fece propria una politica proibizionista ma si rivelò pioniere in quelle “misure salutistiche” ed “ecologiche” – dal bando delle sostanze inquinanti fino alla campagna contro il fumo – che oggi sono il vanto di non poche democrazie avanzate.

Da tempo avevo messo in lista questo saggio, e oh come me lo sono goduto.
Più che un approfondimento, è la (ri)scoperta di un intero settore di conoscenza ignorato ed anzi rimosso per decenni – e che ancora non siamo pronti, né tedeschi né anglofoni né tantomeno italiani – a riconsiderare.
La scottatura lasciataci dal nazifascismo, ma anche la rigidità e parzialità intellettuale, impediscono a noi contemporanei di guardare a quel periodo ed ai suoi contenuti nel modo sereno e distaccato che appartiene non agli indifferenti, ma a chi è saldo nelle proprie convinzioni e modalità di vita e non necessita di ribadirle avversando ogni ipotesi diversa. L’autore, che è uno storico della scienza, è del resto molto bilanciato nella sua ricostruzione degli ideali, delle basi e delle spinte interne alla pratica medica del regime, e nel formulare le sue conclusioni.
Tra le quali: le politiche sanitarie naziste di lotta al cancro (che è il tema-perno della ricerca) hanno effettivamente avuto una ricaduta positiva su incidenza e mortalità? Sono state cioè efficaci?
La, anzi le, questioni morali sono oltre la materia storica; Proctor tuttavia non vi si sottrae e ne ragiona senza cedere alla soggezione dell’opinione pubblica del lettore, più e meno specializzato, o alla tentazione del giudizio intransigente a posteriori. Mette ben in chiaro che una storia del nazismo che ne racconti le infamie pretendendo di cancellare gli aspetti positivi e, soprattutto, il contesto che produsse le une quanto gli altri è una storia monca, e in definitiva non veritiera, disonesta e incapace di assicurarci ciò che aneliamo a dimostrare: che siamo migliori, diversi da coloro che fecero quel che fecero (cose che neppure ci sentiamo di nominare), che un male di tale gravità non può penetrarci.
Procedendo nella disamina accade invece, una volta di più, che risulti evidente la famigerata “banalità del male”, e l’impossibilità di dirsene immuni. Se oggi celebriamo la dimostrazione della tossicità del fumo (di sigaretta ma non solo) ad opera d’un anglosassone è soltanto perché abbiamo voluto declassare e dimenticare che già sotto il regime hitleriano s’era raggiunto questo obbiettivo; in contrasto per altro alle aziende produttrici di tabacco proprio come oggi le medesime – Philip Morris su tutte – si profondono nel monopolizzare la ricerca sugli effetti dell’uso di sigarette elettroniche e delle alternative quali il tabacco riscaldato senza combustione.
Persino il danno da fumo passivo fu messo in luce, e combattuto, dagli scienziati tedeschi anzi nazisti per primi. Anzi: nazisti, perché il forte, talora ossessivo, desiderio di questa ideologia di rendere perfetto, puro, privo di debolezze fisiche e caratteriali l’uomo nuovo tedesco fu la motivazione non marginale ed ininfluente che muoveva, di sottofondo, ogni scelta in merito alla salute. Privata non meno che pubblica, poiché di privato nel Reich non v’era sostanzialmente nulla: uno degli slogan più ripetuti di quell’epoca (riportati anche sui numerosi manifestini e sulle pubblicità che il libro riproduce) era
Hai il dovere di essere sano!
Il tuo corpo appartiene al Führer.
.
Né l’avversione al fumo ed al consumo di alcolici fu l’unica direzione impressa al paternalismo nazista in fatto di salute. Molte delle abitudini propagandate, ed approvate dallo stesso Hitler seppure fossero importanti prima ed indipendentemente dal suo favore, appaiono moderne e del tutto sovrapponibili a quelle delle nostre società.
Tutti coloro che hanno avuto il tempo di crescere digitalmente con i prototipi dei meme fatti in PowerPoint hanno visto, almeno una volta nella vita, quello in cui si chiedeva quale capo di stato avremmo preferito avere: uno vegetariano, animalista, non fumatore né bevitore, dal fisico snello; oppure un divoratore di carne, bevitore e fumatore accanito, fortemente sovrappeso? inutile ricordare che il primo caso corrisponde alla descrizione dell’imbianchino austriaco, il secondo a quella di Churchill. Un giochetto semplice, senza pretese, ma che nella sua generalizzazione – specie la prima volta che lo si incontrava – non mancava di mettere alla prova la buona opinione che ciascuno ha di se stesso e la grande sicurezza nella bontà dei propri giudizi.
Con Hitler (certo per ragioni economiche e pragmatiche oltreché ideologiche) non solo il popolo tedesco ridusse il consumo di carne, ma aumentò quello di pane e cereali integrali, fu convinto a sostituire le coltivazioni di tabacco con orti (più ancora che frutteti: più vitamine che zuccheri), fu indotto ad integrare la dieta con farmaci di sintesi – superfood vitaminici e proteici ante-litteram. Hitler per sé sarebbe anche stato contro la sperimentazione animale, se il complesso delle istituzioni e della medicina non avessero prevalso (dopotutto, anche se potentissimo, Hitler era un solo uomo e per certi versi un uomo solo).
Altro grosso capitolo, trasversale alle varie pratiche, è rappresentato inoltre dalla lotta contro ogni tipo di inquinamento alimentare e soprattutto ambientale (a beneficio, s’intende, della razza meritevole di tanti sforzi e sulla pelle di ebrei, disabili, fuoriusciti): di nuovo, furono i medici nazisti ad evidenziare i danni causati da molti elementi radioattivi – pur non potendo incidere quanto avrebbero voluto sul loro utilizzo di massa nella terapia (!) -, dall’amianto, della polvere di quarzo o silice… ad evidenziarli e prendere provvedimenti.


Un’avanguardia, quella nazista, sempre prevalente sulla patina di romanticismo che il recupero di mitologie pagane e idilli bucolico-ancestrali à la Pauwels e Bergier ha steso. Il nazismo, e più in generale i fascismi del Novecento come pure le loro propaggini allungatesi nel nuovo millennio (i più vari neofascismi) non sono né sono mai stati conservatori, antimoderni, in una parola: di destra.
Seppur con un diverso colore (politico e culturale) essi sono a pieno titolo da annoverare tra le forze di sinistra, se per sinistra (metafisica, non partititca) si intende come io faccio il modernismo, il progressismo ritenuto positivo in sé e per sé, la prevalenza della tecnica sulla politica, della volontà di potenza sulla morale e della virtualizzazione e dissoluzione del corpo sul limite fisico e concreto – sulla realtà come dato ultimo e primo.
Alla fine, aveva ragione il Carretta: CasaPound è di sinistra, perciò infatti – pur non accettando la tesi – ne sono uscita al volo come c’ero entrata.
Molto molto interessante! Complimenti per la chicca 😉
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Grazie! Consigliatissimo, ovviamente.
Dici “Novecento”, e ti si apre un mondo. Innumerevoli le variazioni sugli innumerevoli temi…
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Interessante, tanto per cambiare. E denso di temi grandi, neanche tanto in sottofondo. E un finalino provocatorio. I finali possono essere:
1) dulcis in fundo
2) in cauda venenum.
Terribile quel “il tuo corpo appartiene al Fuhrer”. Di fronte ad esso, mi potrebbe apparire meno deprecabile perfino il pensiero delle femministe o di Cappato.
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Posso capire il femminismo (che ha tante anime, ma senza dubbio nella misura in cui rivendica il corpo come proprio, inscindibile dal soggetto che lo abita cioè dalla persona e non oggetto utilizzabile a piacere da terzi, mi ci riconosco).
Ma Cappato… sul serio? Ovvio, il corpo come possesso della patria, di un leader politico (ma pure della famiglia, del marito…) non è accettabile. Ma stiamo parlando di due tizi (Cappato e Hitler) che, al netto di tante sottigliezze che sono solo apparenze, hanno promosso la medesima diabolica idea: l’eutanasia, considerata cosa buona in quanto cancella vite decretate non dignitose.
Che i gerarchi nazisti facessero esperimenti sui disabili per poi eliminarli, quando essi avrebbero volentieri vissuto in pace, mentre i suicidi svizzeri di oggi siano richiesti dai suicidi stessi, è una differenza risibile. Come ben sai (spero) non c’è alcuna compassione o volontà di lenire il dolore di chi è allo stremo, nell’insistenza dei Radicali. L’orientamento di fondo è il medesimo: esistono vite degne e vite indegne. La colorazione democratica non fa che illudere i cretini che l’una sia altruismo, mentre l’altra era abominio.
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Dicevo:
“Terribile quel “il tuo corpo appartiene al Fuhrer”. Di fronte ad esso, mi potrebbe apparire meno deprecabile perfino il pensiero delle femministe o di Cappato.”
Aggiungo:
Di fronte all’affermazione (un’enormità) che il corpo appartiene al Führer, a me sembra che l’affermazione che il corpo appartiene invece all’individuo (da qui il mio riferimento alle femministe e a Cappato) ponga una differenza considerevole. Io penso alle posizioni teoriche (“il pensiero”, dicevo), non agli atti e neanche alle loro intenzioni, alla pratica dei suicidi svizzeri o degli esperimenti nazisti sui disabili (uccidere è sempre uccidere, non vedo grandi differenze). Il mio aver fatto il nome di Cappato, forse fuori luogo (e, di fatto, l’aver evocato ciò che fa, che mi vede del tutto contrario), non intende introdurre considerazioni specifiche (mancanza di compassione, orientamento di fondo, reali intenzioni dei pro-eutanasia, ecc.), perché la mia annotazione è puramente concettuale. E da questo mio punto di vista, lasciando da parte Cappato e compagnia, la differenza tra le due posizioni (il corpo è del Führer o è mio?) mi sembra che qualche consistenza ce l’abbia.
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Sì, capito.
Anche se come hai notato le tue astrazioni concettuali le trovo spesso troppo scardinate dalla realtà e troppo meramente esercizio teorico da poterle accettare come spunto per una riflessione.
Ovvio, meglio che il corpo sia mio che dell’imbianchino o chicchessia: ma quello dei femminismi e dei radicali è (non sempre, ma abbastanza di frequente da rendere problematico l’accostamento, che a te piaccia o meno) un corpo che pretende di scegliere per una terza persona (il nascituro) o sul quale una terza persona collettiva (un partito politico o un’opinione pubblica moralizzata dalla politica) vuole scegliere.
Dunque in definitiva, di nuovo, la differenza non esiste; ed il commento che t’è sorto spontaneo, e che credi “minimo”, non impegnativo, equivale a preferire una prevaricazione imbellettata di libertà ad una prevaricazione più evidente: è una non-alternativa.
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Chapeau, un articolo degno di essere pubblicato sui (pochi) migliori quotidiani. Il tema è interessante proprio perché fuori dal coro. Pulito e concreto. Come piacciono a me.
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Troppo buona, per questo ci sarebbe da integrare, rifinire, precisare… ma grazie, sempre ❤
La storia della scienza ha forzieri di meraviglie in cui tuffare il naso, anche se, come capirai, a volte sale pure puzza.
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