In montagna .1: I fantasmi di pietra, di Mauro Corona

Alcuni anni fa vidi un romanzo di Corona sul tavolino dove mio cugino tiene le letture in corso. La quarta di copertina suonava promettente, e pure il suo giudizio di cinico malmostoso gli accordò un certo favore: in lingua corrente, meritava decisamente. Misi quel titolo tra i “libri da leggere” e, pur non dimenticandomene mai del tutto, ce lo lasciai.
Oggi che m’è venuta voglia di leggere e parlare di montagna, ritrovo la curiosità per quest’autore. Non lo amo in tv (con l’eccezione dell’imitazione che ne fa Crozza), l’ho giudicato piuttosto deludente nella conversazione con Luigi Maieron, pubblicata per Chiarelettere, quasi niente. Ma tuttora mi aspetto di meglio dalla sua scrittura personale.
Il primo libro col quale ho sperato di spezzare questa catena di impressioni negative è stato I fantasmi di pietra, del 2008, che l’autore friulano ha definito “la Spoon River del mio paese perduto”. Descrizione azzeccata.

Il paese perduto è la vecchia Erto, località che Corona sempre nomina.
Ciò che l’ha resa una città quasi interamente disabitata, una città quasi-fantasma, fu la tragedia del Vajont, che mi appresto ad indagare attraverso le mie fonti abituali: testimonianze scritte o recitate.

Erto, un paese abbandonato, silenzioso, raggelato in un’istantanea il 9 ottobre 1963, quando il fianco del Monte Tóc precipitò nel lago del Vajont. Eppure quelle case, quelle cucine, quelle stalle, di cui restano solo muri avvolti da edere e ortiche, sono ancora abitate.
È una popolazione di fantasmi che Mauro Corona evoca ripercorrendo porta a porta, casa per casa, le quattro strade deserte che un tempo risuonavano di voci, di strumenti da lavoro, della vita di ogni giorno.
Una tazza, una falce, una gerla, un secchio da mungitura, una bottiglia lasciata a metà di un vino che dava forza e gaiezza; ogni oggetto richiama nella memoria di Mauro Corona un personaggio, un fatto buffo o tragico, una leggenda, una storia d’amore o di terrore, come un vento di tempesta o un soffio di primavera.

Camini spenti senza fuoco né cenere, dalla cui bocca escono voci perdute per narrare, prima che il tempo le cancelli, antiche vicende di spettri, di animali magici, di piante venefiche e taumaturgiche, di diavoli ghignanti e scherzosi.
Ne nasce un racconto commovente ed esaltante che si snoda, come nel celebre concerto di Vivaldi, lungo l’arco delle quattro stagioni: inverno, primavera, estate, autunno.
Schiere di anime riprendono corpo e ci uniscono a loro per un breve istante, mosse da un’inappagata sete di vita. I bambini scomparsi tornano così a scivolare veloci sulle slitte, spiriti maligni ansimano nelle soffitte.
La Vecia de Or intanto prega una Madonna dal volto di uomo, burlando a morte chi cerca il suo tesoro. Nella casa del Solitario si gioca alla morra: mai soldi, solo vino. In un’ampolla è conservata l’acqua in cui si sciolse il corpo di Neve Corona Menin, la fanciulla di ghiaccio, mentre la voce del piffero magico risuonava nelle notti di luna piena.

Non storie fittizie dunque, ma ricordi reali di persone che furono vive e unite in una comunità; seppure, come da avvertenza, i nomi delle più siano stati modificati. (Non so se sia appunto dovuto a uno scherzo letterario che una buona metà di questi includa Corona nel cognome, oppure se si tratta, come spesso càpita nei piccoli e piccolissimi centri, dell’esito di una lunga pratica endogamica).
Una lettura lenta, che si fa goccia a goccia.
Un ambiente lento, quello della montagna, che invita a prendere tempo e staccarsi dal mondo. Certo: noi ce lo possiamo permettere. La vita che si fa, e ancor di più si faceva decenni fa vivendo non solo in ma anche di montagna non è la nostra che scaldiamo casa senza dover tagliare la legna, ci prepariamo una cioccolata calda e poi leggiamo dell’esistenza che conduceva un nostro antenato ben imbozzolati nelle coperte. Tutto molto romantico, finché resta sulla carta.
Ciò che però possiamo fare utilmente è trarre da questi racconti lo spirito di una vita sobria e semplice, da declinare poi secondo le nostre attuali condizioni ed nel contesto individuale. Avendolo letto non mi metterò magari a scolpire il legno (in verità tempo fa ci avevo pensato, comunque sospinta da stimoli diversi), però potrò compiere un passo in più nella valorizzazione delle mie tradizioni, dei miei lasciti, della mia storia.
Posso individuale la forma nascosta nel preciso e unico tronco d’albero che sono.

Ballerina, scultura in frassino di Mauro Corona

Le parole del Corona scrittore sono più morbide e levigate di quelle del Corona opinionista. Ciò dipende in parte senz’altro dal fatto che la scrittura è in essenza elaborazione su tempi dilatati, anziché espressione immediata del pensiero. Tuttavia credo anche che ogni parlante e scrivente costruisca la propria voce sulla base del materiale che gli è toccato. L’ertano è un montanaro “classico”: la durezza della fibra di legno interna non viene nascosta né vorrebbe esserlo, lo sforzo di un’ammorbidimento delle abitudini e delle spigolosità fissate nell’arco di decenni è visibile, altrettanto spontanea è la tenerezza, la commozione nei confronti di quelle stesse radici talvolta disconosciute ma mai disprezzate. (Confesso senza imbarazzo che per taluni modi di essere qui narrati il disprezzo io lo provo eccome, anche se non mi stupisco né scandalizzo. Certe pretese, certe vendette meschine; l’alcool come suprema ed onnipresente forma di evasione…).

Una di queste radici è la fede diffusa e ben innervata nella comunità.
Una fede amata per i suoi benefici effetti, a prescindere dalla propria appartenenza e capacità di farla propria:

&

Il racconto si sviluppa attorno a quattro delle vie più rilevanti nella memoria dell’autore (San Rocco, Centrale, Soprafuoco, Alta), visitate ciascuna in una stagione differente a partire dall’inverno. Ciascuna porta con sé storie e personaggi nuovi, altri ricorrono in brevi accenni dopo il primo incontro – come se il tempo si fosse fermato e fatto ciclico: ciò che appunto accade ai fantasmi.

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13 pensieri riguardo “In montagna .1: I fantasmi di pietra, di Mauro Corona

    1. Mi fa piacere 😊
      Sì, ha delle qualità che però si sforza parecchio di nascondere sotto al carattere indisponente (certo, poi se accetta di interfacciarsi con la Berlinguer, sapendo qual è il gioco e l’impressione che si vuole creare…).

      Piace a 1 persona

  1. Ho amato il Corona degli esordi, nel “Volo della martora” o di “La voce del bosco” e poi lui è diventato famoso, ha cominciato a scrivere per la Mondadori ed i suoi romanzi non sono più stati “suoi”. E ho smesso di leggerlo. Penso che molto di ciò che viene pubblicato a suo nome, sia scritto da altri, o meglio, sia molto elaborato da altri. Ed il personaggio è costruito sul prototipo del montanaro burbero, ma sensibile, dedito alla degustazione costante di vinelli di paese e assiduo frequentatore di bettole più o meno malfamate. In parte lui è così, perché l’ho conosciuto, ma molto si gioca sulla maschera da palinsesto televisivo. Ed è per questo che ho smesso di leggerlo; io amo la montagna, fa parte della mia vita, anche mentre dormo, oltre che mentre sono sveglia e non mi piace chi si fa usare per mere questioni di soldi, perché svendendo se stesso (e parlo del personaggio che si espone in programmi televisivi, non solo dello scrittore che, si sa,come in tutte le cose italiane, per fare strada deve scendere a compromessi con le case editrici), svende anche i valori e tutto ciò che gira attorno al contesto in cui vive. Usare i boschi e le montagne per creare una sceneggiatura di fondo per vendersi lo trovo svilente e quando dico “vendersi” intendo dire che non essendo più “vero”, ma costruito in funzione di un messaggio banale e ridotto alla figura di un beone discutibile che parla di concetti complessi in modo banale e che vanno di moda perché legate alla scia ambientalista tanto in voga oggi. Ha smesso di dire la verità quando si è prestato al teatrino mediatico, ha smesso di scrivere quando si è prestato alle logiche di marketing editoriale e ha smesso di destare il mio interesse molto tempo fa di conseguenza. La montagna non gli deve nulla se non una visione romantica e poco realistica che non viene nemmeno diffusa da lui, ma solo da chi lo ha costruito come personaggio un po’ al di sopra delle righe. MI scuso se forse risulto eccessivamente polemica e lapidaria, ma questo tipo di dinamiche di marketing che sfruttano quanto di più genuino la montagna produce, mi indispone alquanto, soprattutto perché la gente che non capisce le dinamiche che stanno dietro a tutto questo, in buona fede ci crede. Ed è una palese presa in giro; una delle tante.

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    1. Non devi scusarti, anzi.
      Nemmeno a me convince troppo, ma io ho una prospettiva molto diversa, da cittadina e da curiosa poco informata sui dettagli della vita e delle affermazioni di certi personaggi.
      Mi segno senz’altro i due titoli che mi citi, e ti farò ridere: ero convinta che la martora fosse una “specie di castoro”, ma se vola temo di aver vissuto nell’illusione… ora vado a controllare su Google! 😅

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