Sul mare .13: Scomparsi

Che mi piace leggere, scrivere e discutere di mare lo sapete.
Che ho la fissa delle crociere, e pur avendole depennate dalla mia wishlist ne conservo il piacere dell’immaginario, beh: sapete anche questo.
Ma forse non ho mai detto di avere una passione anche per le storie di persone scomparse. Ve lo dico ora, ben sapendo che qualcuno, là fuori condividerà di certo la cosa con me, pur non esponendosi necessariamente (si tratta infatti di una passione legittima, ma sempre a rischio, come quella per la varie disgrazie marittime / aeree / ferroviarie, di sospetta indifferenza per le sventure altrui. Eppure, è proprio dell’essere umano sguazzare nel crimine osservato per placare l’angoscia del crimine vissuto, o che potremmo vivere in prima persona).
Ebbene, manco a farlo apposta le vicende delle (tante) persone scomparse, nelle circostanze più diverse, da una nave – e spesso per l’appunto durante una crociera – sembrano far incontrare queste mie due fissazioni.

La più grande nave da crociera di lusso: Wonder of Seas della Royal Carribean

Le crociere nascono come possibilità di puro svago, da un’idea singolare, favorita e resa concretizzabile dal rapido progresso tecnico in campo navale del ‘900: se ne aveva d’avanzo, e si poteva indulgere in fantasie e lussi sempre più diffusi.
Non stupisce che fatichiamo ad avvicinare, se non coniugare, l’idea di crociera (lusso, spasso, svago, riposo, divertimento; una giostra inarrestabile, una pacchia interminabile) con quelle ben più inquietanti di pericolo, di insicurezza, di indifferenza per le sofferenze altrui.
Elementi, questi, che emergono in ogni fatto di cronaca, nera in prima battuta e poi giudiziaria, che concerne i passeggeri di simili colossi naviganti in acque nazionali le più diverse, e financo in acque internazionali.
Nessuno è disposto ad ascoltare: né i passeggeri, che dovrebbero interrompere la festa, né la società di navigazione che rifiuta d’accollarsi una qualsivoglia responsabilità (pur se l’avrebbe, per legge), né di conseguenza i dipendenti che temono ripercussioni quali mobbing, la perdita del posto o – chissà – persino di peggio. Quando poi la vittima appartiene ad una nazione diversa da quella nelle cui acque la nave sta sfilando, nella quasi totalità dei casi le ricerche e le indagini non sono che una farsa.

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Gaia Randazzo è stata solo l’ultima, o una delle ultime, a scomparire.
L’elemento della felpa ritrovata su una panca ad un ponte diverso rispetto a quello in cui era registrata col fratello minore (che stava accompagnando) sul traghetto Moby, e sul quale sino a poche ore prima stava dormendo al suo fianco, non è nuovo né insolito. Altre volte oggetti degli scomparsi hanno fornito dubbi, ma pochi indizi e poche piste concrete per ritrovarli.
Nel caso di Gaia si è recentemente ipotizzato che possa essere stata avvicinata e forse aggredita da ubriachi (vi sono testimonianze che riportano l’abitudine di bere durante la traversata di molti passeggeri, e quest’ultimo viaggio della ragazza appena ventenne non sarebbe stato diverso). Potrebbe dunque essersi trovata nel luogo sbagliato al momento sbagliato, magari solo perché s’era svegliata e desiderava prendere una boccata d’aria.

A causa d’un sms inviato dal cellulare di Gaia la notte stessa della scomparsa, qualcuno ha prontamente sfilato dal cappello a cilindro la solita, disperante ipotesi-scusa-accusa: che si sia trattato d’un suicidio.
Non che non accada, beninteso; ma è davvero ridicolo scoprire quanto di frequente ci si adagi su questa comoda idea, quando in genere non c’è neppure questo appiglio (comunque controverso, e non soltanto nel caso di Gaia), come se non esistessero variabili da verificare ed eventualità alternative assai più numerose e valide.
La vera tragedia non è la scomparsa di una persona, comincia bensì proprio subito dopo, con la sua ufficializzazione. Genitori, figli, coniugi e parenti tutti (come s’usa scrivere nei manifestini per i defunti…), amici, colleghi e compagni di viaggio possono già mettersi il cuore in pace: quello non è l’inizio delle ricerche, anzi ne decreta la fine.

«La pista del suicidio per noi è infondata ed è quella più semplice per chiudere il caso in fretta», ha detto Angela Palazzolo, madre della ragazza, ai giornalisti di Fanpage.
D’altronde, gli omicidi in mare sono fra i più complicati da risolvere, in quanto nel momento in cui viene segnalata la scomparsa, si è già abbastanza lontano dal punto in cui la vittima potrebbe essere caduta.

Pur in circostanze diverse, c’è un dettaglio (beh: mica poi così marginale!) che accomuna la storia di Gaia con quella di Alessio Gaspari, terzo ufficiale di coperta sulla Aida Diva di Costa Crociere, scomparso dalla stessa nel 2021:

Quello che ci si domanda è cosa ci facesse Alessio al ponte n.4, se la sua cabina, tra l’altro con balcone, fosse al ponte n.8. Ovviamente, poi, «le telecamere della nave non sono al momento funzionanti», cosa che fa sorprendere poiché, come si domanda la famiglia, «come è possibile che su una nave così grande e complessa non ci sia un sistema di videosorveglianza attivo che tuteli il personale di bordo?». Se non bastasse, quando la famiglia va in Danimarca per parlare con i colleghi e gli inquirenti, gli viene negato.

Dal 2000 in avanti, più di 300 persone si sono volatilizzate nel nulla. Salite a bordo e non più discese. Passeggeri in vacanza e, come s’è visto, membri dell’equipaggio. Fra questi, oltre ad Alessio, cito a titolo d’esempio Rebecca Coriam, animatrice a bordo della Disney Wonder nel 2011.
Una storia che non conoscevo, la sua, e che ho letto su Internazionale, in un corposo articolo del 2012 tradotto dal Guardian.
Anche stavolta, contro ogni logica, vi fu chi parlò di suicidio; i colleghi però dimostrano che è da escludere: chi alludendo, chi facendo ipotesi ben diverse (e che chiamano in causa la malagestione della sicurezza a bordo nave), chi più semplicemente difendendosi con la reticenza.
Già, la stessa omertà che siamo soliti associare all’ambiente mafioso. Del resto, non è una mafia anche quella aziendale, che sfrutta i propri dipendenti lasciando ipocritamente intendere al mondo che sia invece dedita al benessere di tutti i propri collaboratori?
Scrive l’articolista:

Alle 7 di martedì mattina sono sul ponte 4 mentre superiamo il tratto di oceano in cui è scomparsa Rebecca. Un banco di delfini salta fuori dall’acqua. I passeggeri intorno a me sussultano.
Vedo passare una ragazza irlandese che lavora per la compagnia e le chiedo come si vive nelle cabine dell’equipaggio. “È come stare nell’armadio di Harry Potter”, risponde.
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Intende dire un luogo magico, ma minuscolo e buio. Le cabine dell’equipaggio non hanno finestre, sono sotto il livello del mare, come scatole d’acciaio.
I dipendenti sono pagati per lavorare sette giorni alla settimana per periodi che vanno dai quattro agli otto mesi (a seconda del loro grado nella gerarchia aziendale), prima di potersi prendere qualche mese di ferie.
Alle dieci di sera, una volta, ho visto alcune donne del reparto animazione in cui lavorava Rebecca giocare con i bambini per le scale. A quanto pare restano in piedi finché c’è qualche bambino da intrattenere.
Una ex dipendente, Kim Button, ha scritto un blog per raccontare la vita a bordo della Disney Wonder. “Non credo che possiate immaginare quanto sono piccole le nostre cabine. Sul serio, è qualcosa che la vostra mente non può neppure concepire.
Avevamo riunioni del personale alle due di mattina, l’unico orario in cui nessuno di noi lavorava, quindi se finivi il turno alle dieci di sera non potevi dormire granché perché alle due dovevi essere già in piedi per la riunione.
La piscina riservata all’equipaggio è uno dei pochi posti dove i dipendenti possono ritrovarsi ed essere se stessi, senza paura di assumere comportamenti inappropriati davanti agli ospiti”.

Il mare aperto è davvero uno dei luoghi più adatti ai crimini d’ogni sorta, specie se in una nave sono raggruppati sciami da migliaia di persone: per quanto grande sia l’imbarcazione, il via vai e la confusione che vi regnano sono il fondale ideale dietro cui nascondere azioni men che limpide.
Le crociere sono note, ad esempio, non solo per le periodiche scomparse ma anche per i numerosi stupri che avvengono lungo il percorso. Ricordo il caso datato alcuni anni fa d’una soldatessa americana che, nonostante la propria posizione privilegiata, durò una gran fatica a sostenere l’accusa contro cinque suoi colleghi ed averla vinta (se pure l’ebbe: non ne sono affatto sicura…).

Di materiale da inchiesta, insomma, ce n’è in abbondanza: dal momento che mi intriga, immagino tornerò più volte sul tema.
Nel frattempo, se volete approfondire la vicenda di Alessio potete dare uno sguardo al sito dedicatole dalla famiglia:

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Per leggere i miei precedenti articoli ad argomento marino e marinaresco:

> Sul mare .1: Avventura nell’artico, Arthur Conan Doyle
> Sul mare .2: L’isola del tesoro, Robert Louis Stevenson
> Sul mare .3: Il mare d’autunno
> Sul mare .4: Il mare d’autunno (bis)
> Sul mare .5: Long John Silver secondo Björn Larsson
> Sul mare .6: Giona, Ismaele, Geppetto.
> Sul mare .7: Le acque del Nord, Ian McGuire
> Sul mare .8: Vedi Venezia e poi vivi
> Sul mare .9: La cucina della filibusta, Melani LeBris
> Sul mare .10: Terrore dal mare, William Langewische
> Sul mare .11: Romanzo di un naufragio
> Sul mare .12: Sotto la soglia delle tenebre

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11 pensieri riguardo “Sul mare .13: Scomparsi

    1. Io sono basita dall’aver appreso che le telecamere stanno lì più per arredamento e monito che per la loro reale utilità. Anche solo per questo salasserei le compagnie con multe atroci, figuriamoci per il resto…

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