Febbraio è il mese dedicato alle malattie rare (e già Telethon sta rompendo le balle coi suoi spot). Ce ne sarebbe di che riempire in abbondanza il mio profilo Instagram a tema, invece da un pezzo non ci pubblico nulla.
Le ragioni sono certo più d’una, inclusa la fatica a tener dietro ai ritmi social (diversissimi da quelli di un blog pur vivace), ma sulle altre spicca per rilevanza questa: che persino una comunità particolare come quella dei malati rari, cronici, invisibili interagisce in gran parte in base a modelli stereotipati, solo apparentemente diversi da quelli adottati – che so – dai litblogger, dai foodblogger, e via dicendo. O, peggio, seguendo una moda (quanto scelta e quanto imposta, è difficile dire: di certo se ne abusa) come l’intersezionalità: le persone che si dichiarano disabili / neurodiverse E queer E magari donne E nere, dunque con un portato di ben quattro “marginalizzazioni” concomitanti, si sprecano. Giuro, non sto inventando.
Una delle questioni di importanza capitale per tutti i disabili, che però nell’alveo dei social si è ormai trasformata ahimè in oggetto retorico sempre ad un passo dalla carnevalata è quella dell’abilismo.
Avevo a suo tempo riportato un articolo scritto da Valentina Tomirotti, attivista molto nota a cui il tema è caro, perché a dispetto di alcune diversità di vedute e posizioni trovo fondamentale creare consapevolezza attorno ad una forma mentis, con relativi atteggiamenti consolidati, analoga al razzismo, al sessismo, all’omofobia… (già solo a nominare tutto ciò mi vien l’orticaria: non c’è bisogno che spieghi come da concetti concreti e detestabili siano stati tratti feticci politici che non tutelano affatto i deboli del caso, ma mirano piuttosto a danneggiare chiunque non si inchini al diktat, al verbo dell’inclusione variamente declinata).
Creando il profilo Ig, però, ho aperto gli occhi su un universo di rivendicazioni che vanno molto oltre il sacrosanto diritto ad essere trattati da pari, ad essere visti e considerati quali si è relamente, anziché come delle macchiette, delle caricature di soggetti fragili.
Voglio portarvi due esempi, uno negativo ed uno positivo, relativi al fenomeno.
Il primo, quello negativo, è un fake, nel senso di articolo fittizio creato apposta per parodiare e mettere alla berlina una modalità tipica di lamentela che molti utilizzano. Si rifà direttamente al repertorio woke americano, incapace di contestualizzazione, di discernimento ed approfondimento della realtà.
L’articolo è in inglese, spero che non sia un ostacolo per voi, ma ad ogni modo sarà sufficiente riportare il titolo per darvi un’idea precisa del tono di un certo attivismo. Come ripeto, sia titolo che “notizia” sono volutamente inventati, eppure del tutto plausibili, verosimili, sovrapponibili a discussioni reali, in corso proprio ora in Occidente. Ecco:
Gesù additato come abilista
per aver guarito il paralitico

L’esempio positivo di una comunità che davvero sa muoversi unita e tutelare (o provarci) i propri interessi e diritti, scegliendo battaglie consone e cogenti, è dato invece da una recente vicenda che mostra come purtroppo una società non sia mai abbastanza “avanzata” o “sviluppata” culturalmente da potersi definire giusta.
Sto parlando della puntata n° 104 (numerazione non casuale) del podcast Muschio Selvaggio di Fedez e Luis Sal. Tra informazione scorretta (che diventa vera e propria disinformazione) ed insulti travestiti da ironia, pronunciata ed avallata anche dall’ospite (l’influencer tiktoker Emanuel Cosmin Stoica), i motivi di risentimento si sono accumulati e sono esplosi.
Ad esempio in questa lettera pubblica.
Io ci ho pensato, a riascoltarmi l’intera puntata e segnarmi ciascun punto critico con relativo minutaggio, per farne poi una rilettura qui. Ma per il livello di serietà di quel programma, mi pare uno spreco di tempo e di energie.

Esprimo la mia più profonda gratitudine per non aver avuto un figlio come fedez…
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Come ti capisco! 😂
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Ho visto tre puntate di questa roba, per curiosità, per farmi un’idea. E me la son fatta: non merita un minuto in più del mio tempo. Tutto il resto che dici è condivisibile. Le energie vanno usate per costruire, non per perdere tempo con la fuffa dei social. questa dei muschiati è zavorra.
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Ne ho scoperto l’esistenza attraverso questo tam-tam.
Ho voluto comunque ascoltarla per intero per non adagiarmi su interpretazioni facili ma, talvolta, errate.
Ora posso dimenticarmelo, magari per fare spazio a un bel film.
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Penso di poter condividere serenamente 😂
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Errata corrige:
ho scritto transazionalismo, ma intendevo dire intersezionalità.
Il transazionalismo, se pure è corretto chiamarlo così, è altra cosa.
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