La panchina sotto all’ippocastano

C’è una panchina grigio chiaro, sotto all’ippocastano più bello del giardinetto di fronte al Pronto Soccorso di Poliambulanza a Brescia, che spicca sulle altre più scure. È quella sulla quale mi sono sdraiata l’ormai già lontano 22 febbraio 2019, per spezzare un momento l’infinita e dolorosa attesa di notizie sullo stato di mia madre, che avevo accompagnato d’urgenza per una crisi respiratoria dalla quale poi non si è salvata.
L’ho osservata, ieri, mentre l’Arrotino si trovava all’interno per un modesto ma non trascurabile problema sopraggiunto in mattinata; chiedendomi se sarei riuscita a riportarmelo a casa, al sicuro, o se le cose sarebbero andate per le lunghe – richiedendo magari un’operazione in microchirurgia – lasciandoci separati, per la prima volta non di nostra volontà.
Sul termine di questo mese affaccendato e dal ritmo serrato, anche se per lo più nel mondo digitale, sono stata costretta a fermarmi per alcune ore. Senza sapere quanto sarebbero durate, e senza neppure un libro, ‘ché nella fretta non me n’ero portati. Avrei voluto piangere e avrei voluto che qualche altra circostanza esterna e fuori dal mio potere mi bloccasse lì, dov’ero libera e vuota e finalmente ho dovuto deporre i carichi.
Nulla come un’emergenza ti svela a te stesso, in cosa necessiti e in quanta e quale responsabilità sei disposto ad assumerti.

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