Ho attraversato l’invisibile ma precisa linea rossa che separa la sostanziale fiducia nelle istituzioni democratiche (apparato amministrativo statale, sistema giudiziario, forze dell’ordine, sistema sanitario e sociale), pur considerate nella loro applicazione ineffabile e disastrata, dall’intima diffidenza nei confronti delle medesime.
Se sia un “semplice” ritrarsi da organizzazioni, tutt’ora ed ancora, potenzialmente positive in modo concreto a causa del periodo storico che le vede particolarmente malmesse e maltrattate, oppure se sia soltanto il principio d’un definitivo distaccarmi da esse non so.
Ciò che so è questo: il sistema sanitario innanzitutto, da me considerato con benevolenza e persino affetto sino a ieri e che ritenevo di poter, almeno in parte, gestire e controllare a beneficio mio e dei miei cari non esiste più. E quelle che prima erano isole di sicurezza affioranti in un mare di mediocrità, utili però a non affondare, ora hanno a loro volta eretto (accondiscendenti a chi gliele ha costruite intorno) barriere spesso invalicabili, mentre le acque si popolano sempre più di squali. Un ritorno al primitivismo che mi induce ad allontanarmene, salvo (e neppure necessariamente) in caso di emergenza. Se valeva da sempre la regola che proprio quando si sta male gli ospedali sono i luoghi più pericolosi, ora è norma stringente.
La realtà giudiziaria, legale, di polizia e suoi affini, altrettanto preda dei mali pensieri e dei mali umori umani, l’ho forse sottostimata nel suo disfacimento in quanto, salvo poche e non gravi eccezioni, vi ho avuto a che fare molto limitatamente.
Le reti sociali formali offrono infine il quadro peggiore, dall’assistenza familiare ed economica alla tutela lavorativa. La cultura è morta, l’etica meglio sarebbe che lo fosse: dal vuoto morale del capitalismo puro siamo passati inesorabilmente alla dittatura morale di ideologie attive, feroci, traviate; demolitrici del poco che resta intatto.
Sono e mi percepisco insomma, per la prima volta dall’ingresso in età adulta, sola a fronteggiare l’esistenza; priva di un territorio sicuro retrostante comune ai miei familiari, concittadini, connazionali, correligionari.
Un simile distacco, per quanto forzato, dalla base democratica che finora ci aveva supportato non può non avere conseguenze profonde. Si aprono scenari di solitudine, libertà, di grande miseria e grandi possibilità.
Ho già in gran parte adattato la mia forma mentis a stili di vita che chiedono e consentono di fiorire con poco, e questo è l’unico fattore positivo che riscontro in tal processo.
Dovunque ti giri ci sono solo macerie. Umane, sanitarie, politiche.
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Capisco molto
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Una presa di coscienza abbastanza amara, che capisco bene. Una società sempre più individualista ed egoista, un degrado a cui i cittadini hanno assistito sgomenti e increduli, ma troppo spesso complici. Basta guardare la sanità lombarda, in mano da più di un quarto di secolo agli stessi: qualcuno li ha votati… tu ti dissoci da enti ed istituzioni, io non sopporto più le persone, tranne poche eccezioni. Che si fa? Eppure rinchiudersi non si può…
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Rinchiudersi no.
Ma uscire dalla società, in misura non totale eppure abbondante…
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E’ una condizione le tua che stiamo vivendo in molti. Ma non abbastanza per un vero cambiamento che credo non avverrà mai.
Pessimismo portami via…
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O realismo.
Certo rispetto ai tempi di crisi, fatto negativo ma in sé non tragico, stiamo vivendo un cambio d’epoca – e non per il meglio.
Io ridimensiono il valore della deriva in quanto la considero nulla più che il ringhio di un cane tenuto alla fame ed educato alla violenza (il mondo fisico), il quale dovrà in ogni caso cedere le armi.
Il portato della deriva però è grande ed autentico, e fintantoché vi siamo immersi, in questo mondo che perde brandelli per strada, tocca farci i conti.
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Io invece la mia forma mentis non sono ancora riuscita ad adattarla e dunque vedo solo fioriture negative all’orizzonte.
Pessimismo porta via anche me.
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Non ci provo proprio, ad adattarla.
La nostra forma mentis va bene così, e se ci troviamo a disagio nel mondo, è purtroppo perché il mondo è allo sbando. Eh, sì.
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❤
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Ma no, la cultura non è morta. Certo, gli ultimi 2 anni scolastici (passati per buona parte in DAD) hanno abbassato drasticamente il livello culturale medio dei giovani italiani, ma ti assicuro per esperienza personale che adesso la cultura sta ripartendo. Anche al di fuori della scuola, dato che hanno appena aumentato la capienza massima dei cinema e dei teatri.
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Non mi riferivo a DAD e questioni contigue, figurati.
Cultura è l’interazione ed integrazione di conoscenze plurali e interconnesse, capacità logica, coerenza intellettuale e dotazione morale.
La cultura è morta, rimane un’alfabetizzazione scarsa e scadente.
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In realtà la capacità logica è più un fatto di intelligenza che di cultura. E’ questo il motivo per cui una persona può essere coltissima e allo stesso tempo incapace di compiere dei ragionamenti logici anche minimi. Grazie per la risposta! 🙂
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Non c’è cultura senza logica interna, e la logica, formale e non, si insegna e s’impara 😉
Buona serata.
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Anche a te! 🙂
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“Fiorire con poco” è bellissimo.
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E’ il segreto della salvezza.
Non accontentarsi, ma accontentare il proprio cuore e gli altri con quel poco.
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