Sto sfogliando e sfoltendo, per l’ennesima volta, le mie to-read-list sul sito della biblioteca. Tanti i libri di cui non ricordo affatto come li abbia scelti, attraverso quali recensioni o connessioni vi sia arrivata; ormai privi di attrattiva.
Addirittura, poche sere fa (prima di uscirmene con la consueta, micidiale prenotazione di dieci libri in una botta) riguardavo malinconica la pagina con la dolorosa sensazione – che va ben oltre la noia di elenchi troppo vecchi e sempre uguali – di non trovar nulla di interessante in quella massa di testi e, peggio, la prospettiva di finire in vecchiaia per non aver più voglia di leggere.
Ho passato un momento terrificante. Poi, sì, il tutto s’è tradotto in un’ulteriore spinta ad ottimizzare il tempo (la vita è breve ed io mi sento sempre vicina al termine), le mie attività e via dicendo, fino a che non torno a stagnare sotto il peso delle mie stesse aspettative.
Tutto questo non c’entra con le mie ultime letture, tuttavia la riflessione mi nasce anche dal fatto che questo post, come quasi tutti quelli non spontanei ma “pensati”, programmati, ormai, è rimasto in lavorazione per quella che mi pare un’eternità. Pure scrivere banalità mi risulta spesso pesante, in parte per la ragione fisiologica che iniziare è faticoso, poi lo diventa meno – modello Parkinson. Tuttavia, ora sono qui, ho mosso i primi passi a scatti, provo a non fermarmi subito.
Rossella è il semplice titolo dato da Francois-Guillaume Lorrain al racconto delle traversie occorse per produrre uno tra i i film più noti di tutti i tempi, Via col vento. Produrre è un verbo più adeguato di girare, poiché la sua è per lo più una storia tessuta di deliri gestionali e fissazioni attoriali; inoltre mi stupisce che l’abbia scritto un uomo (uno storico, pare) considerato lo stile assai leggero, più da chick-lit che da ricostruzione cinefila.
Discreto, ma non imperdibile. Il romanzo della Mitchell è un mattone di, mi pare, 600 pagine; di per sé non mi spaventano ma considerato quanto ho trovato antipatica la protagonista anche solo scoprendone carattere e gesta attraverso questo resoconto, non lo leggerò.

Molto più interessante e stimabile risulta per me una donna qual è Lale Gül, aka Büsra nel romanzo autobiografico Io vivrò uscito in Olanda lo scorso anno e tradotto in italiano quest’autunno. Come già le ragazze di cui parlavo qui, come già Saman (seppure, per ora con esiti meno tragici), anche Lale scrive di eventi vissuti fino ai suoi 20 anni e la sua storia è quella di decine, centinaia?, di ragazze musulmane di diverse etnie (turche, bengalesi, pakistane, indiane…) che si trovano davanti a un bivio: troncare di netto con la vita fatta sino a quel momento, al momento cioè della maturità, e con la propria famiglia e tutta la rete sociale cui fa da perno – perché spessissimo ammorbidire toni e situazioni non è possibile -, oppure piegarsi, abbandonare ogni desiderio di autonomia, indipendenza, libertà personale e sottostare al volere insindacabile di un sistema culturale e sociale segnato dall’oppressione, dal patriarcato più becero, dall’umiliazione e dalla perdità di dignità.
Lale è un’olandese di origini turche che mal sopporta i dettami di una tradizione che ibrida gli aspetti meno elevati dell’Islam sunnita e gli usi tribali delle società arcaiche. Nonostante il retaggio povero, in senso materiale ed intellettuale, della sua famiglia, e a dispetto dell’universo chiuso che la comunità turca istituisce ad Amsterdam, Lale scopre, interiorizza, cerca e coltiva un modo alternativo di vita, occidentale e tuttavia non prono a mode e derive che sono nostre proprie; fortemente consapevole del suo biculturalismo che non è determinato una volta per tutte ma in positivo sviluppo.
Mette per altro in chiaro come determinate comunità di stranieri non desiderino affatto né l’integrazione, né le possibiltà che noi offriamo loro e che diamo per scontato anelino. Se un femminismo che sia coerente ed onesto, non supino alle regole del politicamente corretto che investono abbondantemente anche le posizioni relative a stranieri ed immigrazione, deve riconoscere necessariamente che quella islamica a matrice tribale, moderna, è una cultura oppressiva e lesiva dei diritti umani e in particolare di quelli delle donne; va detto che attualmente non sembrano esserci che pochissimi attori sociali realmente decisi ed adeguati ad affrontare la spinosissima questione. Toccherà, come forse è giusto, alle donne musulmane stesse agire e spingere un cambiamento. Certo, però, queste avanguardie individuali non bastano da sole.
- Due articoli da La bussola quotidiana sulla vicenda.

La tua introduzione mi fa ricordare che in questo 2022 ormai agli sgoccioli festeggio il decennale di quello che chiamo “blocco del lettore”. Nel 2012 infatti mi incapricciai di approfondire il mio impegno sul sito ThrillerMagazine.it diventando una sorta di “giornalista letterario”, con le dovute proporzioni, e per far questo iniziai a leggere e recensire in quantità industriale, volando troppo vicino al sole e bruciandomi, ritrovandomi così con l’impossibilità di leggere anche un solo paragrafo di narrativa, trovando tutto mostruosamente banale e noioso. (Anche perché gli autori contemporanei non fanno nulla per essere men che banali e noiosi.)
Da allora ho momenti buoni e ricadute, momenti in cui nella mia app ho dieci libri che vorrei leggere tutti insieme e altri in cui non voglio vedere un libro che mi vien da rimettere. (Soprattutto se l’autore è così pigro da iniziare il suo lavoro con un luoghi comuni asfittici.)
Ti capisco benissimo quando dici che ti trovi davanti a liste di libri con quella orribile sensazione di non provare alcun interesse a leggerli, di guardarti intorno chiedendoti “troverò mai di nuovo un qualcosa di bello da leggere?”
Ora, dopo dieci anni di gestione del blocco del lettore, so che non devo mai esagerare, ci vado piano e appena il blocco torna a farsi sentire gli lascio il suo spazio, perché se lo forzo è peggio, grazie alla totale incapacità degli autori contemporanei di scrivere qualcosa che valga più di un foglio bianco 😀
P.S.
Come puoi immaginare, quel mio progetto di “giornalismo letterario” è rimasto sepolto nel 2012. Anche perché quell’estate ho partecipato a un festival letterario, conosciuto decine di scrittori (alcuni anche molto famosi) e l’esperienza mi ha lasciato così schifato che da allora sono guarito da qualsiasi ambizione similare ^_^
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Chissà come intuivo il finale della storia…! XD
Essì, a volte (spesso?) ci freghiamo con le nostre mani.
Io poi mi faccio prendere dal panico facilmente, in questi casi, considerato che se non ho libri pronti e devo attendere, che so, una mezza giornata per averne di nuovi fra le mani do di matto. E’ clinicamente accertato che quando non ho voglia di leggere, c’è qualcosa di guasto, un guasto profondo.
Di velleità letterarie ne ho avute ma ora non più, mi dispiace tuttavia e mi lascia con un senso di perdita il non riuscire non dico a recensire tutto (sarebbe un secondo lavoro!), ma ad essere più presente sul blog e più lucida, sul pezzo appunto. Perché è come far tardi ad una festa in cui sai che ti divertirai un mondo, epperò hai beccato l’onda rossa ai semafori.
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