Ddl Zan: Modificare non basta

Vi riporto, sotto l’immagine, l’articolo di Alessandro Benigni, pubblicato sul suo Ontologismi, a proposito dell’idea di modificare il contenuto del Ddl Zan.
Dice solo l’essenziale, lo dice come al solito bene, e mette il lettore di fronte ad uno spartiacque incomprimibile: o con la realtà o contro – e al contempo i lettori, plurale, l’uno di fronte all’altro nell’accettazione o nel rifiuto.
Non ne ho scritto qui e ne ho parlato con una sola persona sinora, ma per farla chiara e breve: il Vaticano ha tutto il diritto di esprimersi in merito ufficialmente e dunque a livello politico-diplomatico, non è ingerenza indebita bensì esercizio di una propria precisa, legittima e riconosciuta facoltà. Detto anche, terrible mot, esercizio di sovranità.
Tuttavia, pur essendo questa mossa lecita e sensata sul piano laico e mondano, io la vivo come una scelta inopportuna e dannosa, uno scivolone che mette la Chiesa in posizione di mostrare il fianco, lasciarsi attaccare – per quanto su basi scorrette – in modo più efficace dai propri nemici, anteponendo ad una ragione universale e naturale una rivendicazione specifica, particolaristica per quanto alta, di minoranza che si contrappone a minoranza.
Non una cosa sbagliata, ma una cosa insufficiente ed una scelta al ribasso, un accontentarsi. La verità di Cristo, ma anche soltanto la verità naturale e laicamente accessibile all’intelletto, sono e valgono molto di più di questo. Se pure la Chiesa è lo strumento, l’ambiente più adatto, il mezzo per eccellenza attraverso il quale queste verità le si possono conoscere, è appunto anche vero che l’uomo retto, con una retta ragione, può arrivarvi all’infuori di essa pur non riconoscendo di stare aderendo alla sua proposta. Perché dunque un uomo qualsiasi, non interessato alla religione, dovrebbe scegliere di farvi attenzione se la religione stessa smette di proporre quel di più che le è proprio?

quaestiones de iuris subtilitatibus? Beh, sì. Se vogliamo, anche. Ma quello di cui si parla è sostanzialmente altra cosa: si parla di ragione. E’ chiaro a tutti (o almeno dovrebbe esserlo) che il #ddlZan non può essere discusso, né modificato, né adattato.
Va rifiutato, e basta.

Chi lo ha letto, sa che il principio che muove l’arco tentacolare delle disposizioni è solo uno: decidere – per legge – che la realtà è quello che decidiamo noi, ovvero, che il dato oggettivo di realtà non esiste più. Se per legge chiunque è autorizzato ad essere identificato “per come si stente”, la verità delle cose viene semplicemente sciolta nel vortice delle illusioni soggettive e tutti sono costretti – per legge – a negare il dato reale in favore del sentimento e della percezione soggettiva. Ripeto e sottolineo: per legge. Il che significa uno slittamento abissale: non è che con questa legge finalmente ognuno potrà sentirsi come vuole (questo è ovviamente già possibile), ma semmai – ed è questo il nodo dirimente – nessuno potrà dire che A = A se questo confligge con la pretesa del singolo, secondo il quale A = B.

Ora, grazie a Dio la realtà, che certo ha spazi di libera interpretazione, resta comunque quello che è: un uomo resta un uomo, anche se si sottopone a mille operazioni tanto da risultare esteriormente indistinguibile da una donna.
Non è chiaramente questo il punto: la questione è che se non siamo più liberi di ricordare che la realtà non è costruita dai nostri desideri, allora perdiamo l’ultimo scudo, l’ultima difesa, l’ultimo scoglio che ci protegge dalla violenza e dal dominio. Se la realtà non è quella che è, ma quella che l’uomo decide che sia, ne deriva che chi ha più forza e più potere (economico, politico, sociale, etc.) imporrà a tutti la propria visione, il proprio desiderio, senza che nessuno possa rifiutarsi di accettare tale imposizione.

E siamo così all’uomo ridotto a mero desiderio: un nihil, un quasi-essere, deprivato della propria identità (addirittura biologica), un progetto di dominio e di volontà di potenza di fronte al quale i campioni del Nichilismo del secolo scorso sembrano degli innocenti scolaretti. L’uomo così pro-gettato è infatti un niente infinitamente manipolabile: e questo verrà stabilito per legge. E siamo al cuore del discorso: pretendere di affermarlo “per legge” è una cosa priva di senso, pericolosa e soprattutto risibile. qui stiamo imponendo – per legge, lo ripeto – un’antropologia che non solo non sta in piedi dal punto di vista filosofico, ma pretende di essere blindata, indiscutibile, inattaccabile, non-confutabile: una sorta di suprema verità metafisica che nessuno può azzardarsi di discutere. E siamo così non solo alla fine dell’antropologia filosofica, ma dell’uomo essere-razionale. Come può essere ancora razionale un uomo che non può più discutere razionalmente di quello che vuole?

Siamo insomma di fronte ad uno spaventoso rigurgito di repressione del dissenso (una roba che farebbe già ridere da sé, visto che a sostenerla sono i “progressisti”): si punirà (e poi si “rieducherà”, come stabilito dal ddl) ogni idea divergente, bollandola come induzione alla violenza, ogni “pensiero-diverso-da” sarà soffocato sul nascere, zittito chiunque abbia da dire la sua, con valide ragioni o meno, non importa.
Il Potere, l’Impero, lo Stato, chiamatelo come volete, deciderà per noi cosa pensare e cosa no: se il dissenso e la critica del circostante vengono puniti per legge, anche attraverso lo spauracchio della patologizzazione del pensiero (cfr. “omofobia”, et similia), il risultato è uno solo: il totalitarismo, pienamente realizzato.

queste, in sintesi, le ragioni per cui il ddl Zan non va modificato o adattato, ma semplicemente rifiutato in toto.

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